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giovedì 27 dicembre 2012

Tombola!

L'avete riconosciuta, non è vero? E' la tombola. Un gioco natalizio che coinvolge grandi e piccini, divertente e le cui regole sono facili da ricordare. Sicuramente, tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo comprato una casella e abbiamo provato l'ebrezza di sentir pronunciato il numero che avevamo, abbiamo messo proprio lì sopra un segnalino ( o un semplice fagiolo! ) e abbiamo aspettato ansiosi di fare ambo, terna, quaterna, cinquina e perchè no, anche tombola! Quanto eravamo felici quando guadagnavamo un bel pò di monete, sotto lo sguardo invidioso degli altri partecipanti!
Insomma, un gioco davvero avvincente. Una volta. Due volte. Magari anche una terza partita. Ma poi? Poi vorresti gridare alle tue amiche che sarebbe anche ora di cambiare gioco! Diciamoci la verità: la tombola piace a chi è fortunato. Sceglie le caselle in base al proprio istinto, dichiara che quelli sono i suoi numeri fortunati, inizia a posizionare un fagiolo dopo l'altro e alla fine vorresti strozzarlo quando raccimola tutti i soldi in palio. E tu, povero sventurato che hai voluto sfidare la sorte, ti ritrovi a corto di monete, deriso, inferocito con la dea bendata e continuamente tormentato dal desiderio di rinchiudere la testa di quel tuo amico fortunato nel sacco dove si pescano i numeri! Altro che gioco, diventa un massacro. Tutti con gli occhi avidi, pronti all'attacco con i fagioli in mano, isterici se qualcuno osa disturbare, irritati con colui che pesca i numeri se non sono quelli giusti! Va bene, forse sto esagerando. La tombola è una tradizione, e io non posso ridurla ad un semplice gioco in cui conta solo il gruzzoletto finale. Che sarà mai perdere qualche centesimo! "La ruota della fortuna gira," dicono sempre per convincerti a rigiocare "magari questa è la tua partita!"
Chi è particolarmente sensibile finisca qui la sua lettura. Quelli arrabbiati sul serio con la tombola, continuino pure...
"Magari questa è la tua partita!". Come no. Te lo dice chi ha vinto tutti i tuoi soldi e vuole che continui a giocare per spremerti ancora per bene. Grazie, un bel gioco davvero.
Se tenti di sottrarti, sei fuori dal circolo sociale. Se ci riprovi, la tua sanità mentale è messa a dura prova. Perchè? Ok, iniziamo dall'inizio.
Sto trascorrendo una meravigliosa serata tra amiche. Una all'improvviso si alza e dichiara di voler giocare a tombola. Naturalmente, tutti d'accordo.
Già sento che qualcosa non va quando tutte posano sul tavolo le loro venti euro in spiccioli da dieci e da venti centesimi, mentre io in un angolino poso la mia cinquanta centesimi tutta intera, già cosciente che non la rivedrò mai più. La mia amica si offre di cambiarla in monete più piccole, io ringrazio, fingendo di non accorgermi dello sguardo "tanto sarà tutta mia!". Una volta distribuiti i fagioli, inizia la guerra.
- Chi vuole la cartella completa? Sono sessanta centesimi.-
Guardo la mia cinquanta ormai ridotta a brandelli di dieci centesimi e sospiro. Niente scelta.
Però dai, almeno posso scegliere il numero delle cartelle! Ne prendo due, tanto almeno un ambo riuscirò a farlo!
Il mio spirito si spegna alla terza partita, insieme al mio patrimonio. Mi guardo intorno: tutte che ridono e ricominciano a giocare con i soldi vinti. Io? Nemmeno il più misero, deplorevole, maledetto ambo.
La sconfitta definitiva? Quando ti guardano con pietà e puntano per te. E' troppo: mi alzo dal tavolo e sbuffo impaziente. Gioco divertente, come no. Un furto, ecco cos'è! Ma come ci siamo fatti convincere? Tanto meglio una giocata a carte! Almeno lì sei solo tu, il tuo esiguo gruzzolo, la tua testa, la tua mano, la fortuna che ogni tanto ti sorride e la tua intelligenza che ogni tanto costringe la fortuna a sorriderti!
Ho deciso: il prossimo Natale mi do per malata! Chissà, almeno riesco a salvare le mie tasche!

D'accordo, non posso infuriarmi con la tombola solo perchè non sono fortunata. Devo invece concentrarmi sullo spirito di comunità e di divertimento che la tombola offre! Come ho fatto a non pensarci prima?!? Ah già, perchè il divertimento sta nel derubare la gente sorridendole pure e lo spirito di comunità sta nell'essere complici della rapina al povero sfortunato!
Scherzi a parte, l'importante è divertirsi. Se siamo tanto attaccati al denaro, proviamo a giocarci senza soldi!
No, come non detto. E' una noia mortale non poter rubare agli altri!  XD

martedì 25 dicembre 2012

Buone Feste!

Tanti auguri anche dai Coldplay!

Buon Natale !

Ed eccoci qui.. anche quest'anno è già Natale, cantano in pubblicità. Anche quest'anno è arrivato il 25 dicembre... Auguriamo ai nostri lettori un meraviglioso Natale e che queste feste siano indimenticabili per voi e per le vostre famiglie.

BUON NATALE !

domenica 23 dicembre 2012

Si avvicina il Natale... il periodo in cui dovremmo riunire tutta la famiglia ed essere finalmente felici; ma per tante persone non è così semplice, per tante persone non è così scontato. Il brano che segue è dedicato a tutti coloro che vorrebbero con tutto il cuore abbracciare i propri cari e non possono farlo, perchè sono lontani da casa o lontani da questo mondo...

Filippo aveva atteso per tanto tempo l’arrivo di quella lettera e soprattutto aveva desiderato ardentemente di sentirsi vicino a suo padre, anche solo immaginando la sua mano muoversi sul foglio bianco. Gli mancava tanto, gli mancavano le chiacchierate fino a tarda notte, le vacanze al mare, i loro piccoli litigi, le lunghe riflessioni sulla vita che gli facevano guardare il mondo da una prospettiva particolare. Suo padre, in fin dei conti, aveva un motivo ben valido per non pensarla come la maggior parte delle persone: aveva visto la morte, la povertà, la sofferenza e ciò che realmente significava la parola guerra. Essere vicini alla fine di tutto aiuta a non sprecare l’unica possibilità di vivere che ci è stata offerta, era solito ripetere. La guerra è nemica dell’umanità, ma a Filippo sembrava che l’umanità stessa non potesse farne a meno: non riusciva mai a trascorrere più di un anno in compagnia di suo padre e ogni volta che sentiva squillare il suo cellulare, immaginava cosa sarebbe accaduto. Ricordava con tristezza quando, da bambino, continuava a pregarlo di non abbandonare lui e sua madre e di lasciare che fosse qualcun altro a partire per la guerra, e soprattutto ricordava quando suo padre, sorridendogli dolcemente, gli spiegava che il suo era un dovere verso lo Stato e che il suo lavoro avrebbe aiutato tanti bambini a riabbracciare i propri papà. Anche sua madre gli diceva spesso che doveva essere orgoglioso, contento di avere un eroe come padre, un eroe che portava un sorriso dove della felicità non vi era più traccia, un eroe che regalava una speranza a chi ormai non ne aveva alcuna, un eroe che combatteva per un mondo migliore, un mondo in cui la sua famiglia sarebbe stata contenta di vivere. Tuttavia, nonostante quelle parole così belle, l’aveva vista piangere tante volte, mentre abbracciava suo marito e mentre gli sussurrava che presto sarebbero stati di nuovo insieme. Non capiva allora cosa realmente significasse partire per la guerra, ma nemmeno ora, dopo tanti anni, riusciva a comprendere in pieno cosa significasse essere un soldato.
Filippo lesse tante volte l’ultima lettera di suo padre e osservò con attenzione tutto ciò che vi era scritto. Stava bene, o almeno così scriveva in quel messaggio. Sua madre aveva pianto di nuovo mentre la leggeva ed era sicuro che in quel momento lo stesse ancora facendo, chiusa nella sua cameretta. Non dormiva mai nella camera da letto  quando suo marito non c’era e Filippo aveva imparato ad associare il suo spostamento in quella stanza al ritorno di suo padre. Negli ultimi tempi, tuttavia, era rimasta chiusa a lungo, il letto perfettamente intatto, nell’oscurità più completa. L’umore di sua madre continuava a peggiorare  e ormai aveva preso l’abitudine di scrivere lettere a suo padre senza mai spedirle. Filippo capiva il suo bisogno di avere accanto suo marito ed era in effetti lo stesso che sentiva lui, ma aveva trascorso sedici anni a convincersi che fosse giusto così, che fosse inevitabile la partenza di suo padre e che non doveva abbattersi, ma crescere, imparare, sperimentare, osservare e comprendere per renderlo orgoglioso anche solo la metà di quanto lo fosse di lui.
“ Devo partire, ma sappi che ci sarò sempre per te ”. Era solito ripetere mentre si salutavano all’aeroporto militare e Filippo credeva ciecamente in quelle parole, ma era consapevole che anche lui aveva una piccola “missione” : condividere suo padre con il mondo, lasciare che portasse la pace e appoggiarlo nelle sue difficili scelte. Essere un soldato è una scelta coraggiosa, difendere il proprio Paese è un onore e un privilegio, era ciò che un rappresentante dello Stato continuava a ripetere alle truppe in partenza.
Era la frase con cui Filippo aveva deciso di iniziare il suo tema: La guerra e le sue conseguenze. Il destino aveva voluto che questo compito gli fosse stato assegnato proprio il giorno in cui aveva ricevuto la lettera da suo padre, perciò aveva deciso di ricambiare quelle sue splendide riflessioni con una risposta altrettanto elaborata e particolare. Aveva deciso di spedirgli proprio quel tema insieme alle poche righe che era solita scrivere sua madre. Non aveva mai sopportato la lontananza ma non voleva che quella situazione spiacevole per tutti pesasse ancora di più su suo marito, così scriveva semplicemente che tutti stavano bene e che attendevano il suo ritorno, che gli mancava tanto ma che comunque occupava il tempo dell’attesa del suo ritorno con una nuova attività. Fosse la lettura, la pittura, l’arte o la danza, Filippo era sicuro che sua madre non avrebbe mai riempito il vuoto che portava nel cuore perché per quanto si sforzasse di tenere la mente occupata nulla era paragonabile alla sensazione di stringere tra le braccia la persona che amava. Cercava di farle forza, ma lui stesso a volte aveva pregato a lungo per la fine della guerra. Non sapeva mai con certezza quanto questa sarebbe durata e a volte aspettava per mesi interi, invano, poi arrivava una chiamata che annunciava il suo ritorno e  tutta la tristezza, il dispiacere di quel tempo trascorso in sua attesa, il risentimento, tutto scompariva per lasciar posto alla felicità di averlo accanto, di vedere finalmente la famiglia riunita. L’importanza di quel lavoro sarebbe stato l’argomento principale del suo tema, insieme ala necessità di persone coraggiose che come suo padre si impegnavano ogni giorno per gli altri, per garantire al mondo intero la pace.
Filippo cominciò a scrivere tutto ciò che aveva sentito dire sull’esercito, prese spunto dalla maggior parte delle riflessioni presenti nella lettera e cercò di far comprendere a suo padre quanto fosse realmente orgoglioso di lui e quanto gli volesse bene. Probabilmente non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo di persona, ma la risposta a quella lettera sarebbe stata diversa da tutte le altre: finalmente, grazie a quel tema, aveva trovato il modo di fargli capire che anche suo figlio ci sarebbe sempre stato sempre per lui, che suo figlio comprendeva quanto fosse difficile il suo mestiere e che soprattutto suo figlio era cresciuto nella consapevolezza di non essere stato abbandonato, ma al contrario protetto, e che aveva un padre che lo amava così tanto da voler difendere non solo lui, ma tutte le persone che gli stavano intorno.
Ricordava ancora una promessa che gli aveva fatto. “ Ogni volta che avrai bisogno di me, ti prometto che ti sarò vicino”. Fino a quel momento, non l’aveva mai infranta. Ogni volta che aveva sentito il forte desiderio di averlo accanto, lui gli aveva mandato una lettera. Era l’unica consolazione e l’unico modo di stabilire un legame con lui, ma a Filippo bastava e non ricordava neanche un istante in cui avesse dubitato della presenza di suo padre quando ne aveva sentito il bisogno. Tuttavia, non era l’unico a sentire la necessità di averlo vicino: tanti bambini avevano bisogno di lui, tanti altri soldati avevano bisogno di un aiuto, tanti civili avevano bisogno di essere portati in salvo, tante vite avevano bisogno di essere salvate. Era un lavoro difficile, quello del soldato, uno dei mestieri di cui si parlava con rispetto e ammirazione, ma era al tempo stesso uno dei lavori di cui non si sentiva parlare tutti i giorni. Avere un padre nell’esercito era meno frequente di un padre dottore, dentista, fioraio, oculista, impiegato, contadino, operaio e Filippo si vergognava ogni volta che pensava a come sarebbe stata la sua vita se il suo fosse stato uno di quei padri con un lavoro più “locale”, un padre che usciva al mattino e tornava per pranzo, non dopo mesi interi, un padre che accompagnava il figlio a scuola ogni giorno, che lo sgridava quando non faceva i compiti, che gioiva con lui quando prendeva un buon voto. Un padre, insomma, con un lavoro che permettesse a suo figlio di vederlo dopo al massimo qualche giorno e che permettesse soprattutto ad egli stesso di guardar crescere suo figlio, di non perdersi neanche un istante della sua vita.
Scriveva, scriveva tutto ciò che avrebbe tanto voluto dirgli, ma all’improvviso di rese conto di quanto fosse inutile far finta che lui un giorno potesse leggere quelle sue righe. La risposta che aveva avuto intenzione di spedire non era altro che un modo per ingannare se stesso. Si sentì uno sciocco ad essersi illuso che nulla sarebbe cambiato, che suo padre presto sarebbe tornato. Si impose di smetterla, di finire con quella sceneggiata. L’ultima lettera di suo padre sarebbe stata l’ultima per sempre, quelle sue speranze e quelle sue parole sarebbero state le ultime donate a suo figlio. Filippo realizzò solo in quell’istante che stavolta suo padre era partito, ma non sarebbe più tornato. Non gli avrebbe mai detto ti voglio bene, non gli avrebbe mai confessato quanto fosse importante per lui, non lo avrebbe mai riabbracciato. Cominciò a ripesare a tutta la sua vita, a tutte quelle occasioni perse e a tutte quelle vissute al meglio; ripensò al suono della sua voce, al calore dei suoi abbracci, alla bellezza della sua risata e contemporaneamente a quella chiamata. Alla chiamata che aveva irrimediabilmente sconvolto la sua vita. Era un lavoro difficile, quello del soldato, uno dei mestieri di cui si parlava con rispetto e ammirazione, ma nessuno parlava mai dei rischi, di come si potesse perdere la vita da un giorno all’altro, di come l’esistenza di una famiglia venisse stravolta. Nessuno parlava mai di quelle stelle che si erano spente per portare la pace, di quegli angeli che non avevano rifiutato un aiuto a chi lo chiedeva, di quegli uomini che avevano sacrificato tutto per gli altri. Lui, in quel tema, l’avrebbe fatto. Avrebbe dedicato tanto spazio alla memoria di quegli eroi caduti in guerra e l’avrebbe fatto pensando al suo di eroe. Inevitabilmente, una lacrima cadde sul foglio bianco, mentre Filippo, tremando, rileggeva la conclusione della sua lettera. So che manterrai comunque la tua promessa da lassù. Addio papà.

Per sempre giovani: Le vacanze e gli inconvenienti

Non c'è niente di più bello dell'inizio delle tanto attese vacanze di natale. Direi che era pure ora...non ne potevo più.
Quell'adorabile sensazione di rilassamento, al calduccio nel proprio letto, quando i sogni vagano liberi nella tua mente, non pressati dal sorgere di un nuovo giorno, quando sembra che circoli nell'aria una dolce armonia, una dolce canzoncina che ti ricorda che è Natale, quando tutto tace eppure sembra di sentire voci di bambini intonare la canzone "White Christmas", quando il profumo della colazione invade le camera e sembra risvegliarti l'anima e il cuore, oltre che il palato... eh, sono cose da famiglia del "Mulino Bianco"...cose meravigliose, ma non di certo reali. Ora vi descrivo come sono realmente andati i fatti il mio primo giorno di vacanza. Prime ore del mattino, mente ancora proiettata nel mondo dei sogni, avvolta nel calore del mio letto, priva di qualsiasi capacità logico-razionale. 07:30, ho dimenticato di spegnere la sveglia, rumore assordante e fastidioso del vecchio rottame che mia madre ha accuratamente riposto sul comodino di fianco al mio letto, nella posizione strategica che lo colloca a direzione del mio orecchio, posizione infallibile per traumattizzarmi e buttarmi giù dal letto all'esatta ora. Altro che canzoncina di Natale! Comunque con un solo colpo metto fine a quel suono terribile. Finalmente posso tornare ai miei sogni, alla mia tranquillità, alla mia armonia...ancora per poco però. Ore 08:00 del mattino, mentre tutto là fuori tace, gli uccelini iniziano a volare liberi nel cielo, per quanto il freddo possa permetterlo, un altro rumore assordante invade la mia mente. Questa volta è il citofono. Chi potrà mai essere a quest'ora? e bè la risposta è semplice qualche ottantenne rompiscatole che si alza alle 4 del mattino ed è convinto che averci lasciato riposare fino alle otto è tardi. Riconosco che è lui, mio zio, in realtà è lo zio di mia madre, ma questo non cambia la drammatica realtà dei fatti, e cioè che sono solo le otto del mattino! Lui lo riconosci da subito, solo lui riesce a farsi riconoscere dal solo citofono; parte col suonare e dopo 3 minuti è ancora lì imperterrito, convinto che la forza che ha impresso non è abbastanza.Pensate che è tanto preso dal premere il pulsante del citofono che se qualcuno gli risponde non ci fa nemmeno caso! E così sei costretto a scendere giù al freddo a dirgli di salire perchè è aperto. Certo se sei fortunato e riesce a sentire la tua voce al citofono allora non c'è bisogno di scendere, in compenso però grida così forte che tutto il vicinato riesce a sentirlo. Pensate che io dal mio letto lo sentivo gridare nel tipico dialetto del nostro piccolo paese. Comunque, faccio finta di essere talmente stanca da non riuscire ad udire la sua "esile" voce, resto nel mio letto e cerco allo stesso tempo di mantenere la totale calma. Non riesco, vorrei riuscire a fare finta di non sapere della sua presenza, ma lui non parla normalmente, grida così forte che pur trovandomi al piano di sotto riesco ad ascoltare la sua voce come se stesse parlando a pochi millimetri dal mio orecchio. Sento tutta la discussione che ha con mia madre la quale gli chiede di parlare leggermente meno forte ricordando lui che c'è gente che dorme.  Lui inizia ad alzare la voce, pensate un pò, quel suo parlare "normalmente" ha la potenza di 10 uomini messi insieme, e lui riesce a fare molto di più!  Roba da matti gente! Pensate un pò, tra tutta la gente con la quale poteva parlare lui chiede proprio della mia persona. Mio fratello viene in camera chiedendomi di alzarmi perchè LUI vuole vedermi. Rassegnata, infastidita al punto giusto, mi alzo e sforzandomi di stampare un dolce ed innocente sorriso sulle labbra, mi reco da lui. Faccio la mia entrata, assonata, affamata, infastidita... il mio sguardo era la chiave della realtà e cioè la potente voglia di strozzarlo! Lui inizia a chiedermi se mi sembra la giusta ora di svegliarmi, io nella mia mente: -maledetto certo che non mi sembra l'ora di svegliarmi, non ne avevo la minima intenzione di svegliarmi a quest'ora barbara il mio primo giorno di vacanza, ma sai com'è qualcuno non ha niente da fare evidentemente.- Poi continua nel suo dialetto, che a stento riesco a comprendere, dicendomi che lui alla mia età andava a lavorare... e cose di questo genere. Avevo voglia di chiedergli se aveva intenzione di parlarmi dei suoi tempi per l'ennesima volta, quando per fortuna mia madre prepara il caffè e così riempio la mia bocca con quello. Eh, dovrò rassegnarmi, in questo periodo verrà spesso a casa. Pazienza, pazienza tanta pazienza, solo questo serve! Buonanotte a tutti!

venerdì 21 dicembre 2012

I Leanson: qualcosa di inaspettato!


« Non guardare indietro. »
Era un consiglio facile da dare, quando non si temeva ciò che si aveva alle spalle. Per coloro che erano avanzati sforzandosi di mettere un piede dopo l’altro,  la strada percorsa era un piccolo miracolo e qualcosa da dimenticare, ma al tempo stesso qualcosa da tenere ben presente. E di questo Nathalie era decisamente consapevole.
« No Martin, torniamo indietro! » gridò all’amico, mentre cercava di mantenere l’equilibrio.
Martin rise e le prese la mano, aiutandola a raggiungerlo.
Nathalie chiuse gli occhi, prima di lanciarsi tra le sue braccia. Non voleva cadere, non in quel momento. Avevano attraversato con difficoltà tutti gli scogli, prima di arrivare a quello oltre cui il mare non aveva più confini. Martin aveva esaudito il suo desiderio, ma Nathalie non si sentiva felice.
« Come torniamo indietro? » domandò con ansia, voltandosi a guardare la strada percorsa.
« A nuoto, se necessario. » rispose Martin allegramente.
La ragazza gli indirizzò un’occhiataccia, prima di scuotere la testa. No, non si sarebbe di certo tuffata in mare con quelle onde.
« Sempre così, quando arriva il vento da nord. » mormorò Martin, osservando l’immensa distesa d’acqua agitata.
« Andiamocene da qui, per favore. » esclamò la ragazza, cercando di allontanarsi.
« Non c’è niente di cui aver paura. » replicò il ragazzo, trattenendola.
Nathalie era combattuta: una parte di lei avrebbe voluto raggiungere la riva al più presto, correre in salvo e guardare da lontano; un’altra parte, invece, non desiderava altro che restare lì con Martin per sempre.
Alla fine, fu la parte più irrazionale a prevalere, lasciandosi cullare dalla brezza marina. Fissò a lungo Martin, senza una ragione; quando  lui se ne accorse, le sorrise con tristezza.
« È trascorso tanto tempo da quando abbiamo vissuto un’intera estate insieme. » commentò, spostando lo sguardo all’orizzonte.
« Già. » mormorò Nathalie, facendo altrettanto.
Rimasero in silenzio a lungo, contemplando interiormente qualcosa che sarebbe stato impossibile esprimere a parole. Poi, fu Martin a interrompere il silenzio.
« Sei cambiata. »
La ragazza rise, ma non riuscì a cogliere il senso di quella frase. Era cambiata? No, non le sembrava. Era sempre lei, Nathalie, con la sua eterna cotta per lui.
« Sei cambiata tantissimo. » ripeté Martin, più a sé stesso che a lei.
« Davvero? »
« Sì. La Nathalie che conoscevo non mi avrebbe mai chiesto di rinunciare ad una giornata con gli altri. Con i nostri amici. »
La ragazza lo fissò sbalordita: sì, in effetti glielo aveva chiesto, ma non capiva cosa fosse sbagliato in quel suo gesto. Non aveva avuto voglia di trascorrere del tempo con degli sconosciuti, ma con qualcuno che conosceva. Con qualcuno con cui sentiva di poter parlare, con qualcuno con cui non era costretta a misurare ogni parola.
« Quelli sono tuoi amici! » ribatté, voltandosi in modo che lui non potesse vedere l’amarezza dipinta sul suo volto. « Pensavo che avresti capito il perché te l’ho chiesto. »
« Sì. Perché non ti interessano. » esclamò con freddezza Martin.
Nathalie restò senza parole: come aveva fatto a fraintendere in quel modo le sue ragioni? Certo che le interessava stringere nuove amicizie, semplicemente non ne aveva voglia in quel momento. Non aveva mai pensato che solo Martin le potesse bastare. Anzi, in realtà lo aveva pensato; lo aveva pensato e aveva addirittura preso in considerazione l’idea.
Ma allora aveva ragione Martin? Era stata così superficiale con se stessa?
Sospirò, prima di replicare con calma.
« Voglio stringere amicizia con loro, ma io ho paura di non piacer … »
« No, Nathalie. » la interruppe. « Che ne è stato della bambina che era entusiasta di tutto? perché ora tutto ciò a cui riesci a pensare sono smalti, unghie, telefoni e abiti? Un tempo non ti interessava avere le scarpe per arrampicarti sugli scogli. Un tempo ti sarebbe bastato ciò che ti circondava per essere felice. Possibile che questi anni ti abbiano così cambiata? »
« Tu non mi conosci. Non puoi parlarmi così. » ribatté Nathalie, ormai prossima alle lacrime.
Questo pensava di lei? Una ragazzina viziata a cui interessava solo l’inutile? Non aspettò oltre. Si voltò e cominciò a saltare di scoglio in scoglio, ignorando ciò che si stava lasciando alle spalle.
Giurò a se stessa che non si sarebbe più voltata, che avrebbe raggiunto la spiaggia e che non avrebbe mai più pensato a quel litigio senza senso. La sua unica preoccupazione era allontanarsi il più presto possibile, anche se avrebbe significato prestare poca attenzione a dove metteva i piedi.
Eppure, venne meno al suo proposito. Si voltò. Si voltò quando lo sentì gridare parole incomprensibili, un attimo prima di cadere nel vuoto. Un attimo prima che il suo mondo fosse risucchiato nelle profondità degli abissi.

martedì 18 dicembre 2012

"Una vita senza esame non è degna di essere vissuta."
Socrate
 


 

domenica 16 dicembre 2012

Non sono solo parole ...

"Chi saprà mai veramente quanto più che ogni gesto possa turbar nel profondo una sola parola?"
Questa frase di Carlo Maria Franzero mi ha colpito molto. Se ci fermassimo a riflettere, in effetti, ci accorgeremmo che le parole sono l'arma più potente a nostra disposizione.
Una parola può emozionare, può far sorridere, può far divertire, ma una parola può anche ferire, può far soffrire, può far del male.
Le parole, prima di essere pronunciate, andrebbero pensate e ragionate non una volta, ma molte. Prima di definire qualcosa con una parola, dovremmo pensare alle conseguenze che provocheremmo.
Quanto è triste usare parole a caso, quanto è orrendo usare parole per ferire gli altri, quanto è ingiusto assegnare una parola cattiva a ciò che ci circonda.
Quando definiamo un qualcosa una schifezza, ad esempio. Prima di bollare così un lavoro, dovremmo chiederci che cosa rappresenta quel lavoro: fatica, volontà di migliorarsi, entusiasmo, pazienza... C'è un mondo dietro ogni cosa,così come c'è un significato dietro ogni parola.
Per questo, pensiamo a quali parole sarebbero giuste, prima di pronunciarle; già, perchè le parole sanno colpire nel profondo più di ogni altro.
Esiste però qualcosa che è capace di far male quanto le parole stesse: un voto.
Un voto è qualcosa che ti segna e che inevitabilmente ti mette in discussione. Qualcuno dovrebbe dirlo ai prof, ogni tanto. Dovremmo avvertirli delle conseguenze di un 2, di un 6, di un 9. Un voto non è nulla, ma fa tanto: se non si sa chiaramente chi si è, quali sono le proprie capacità, le proprie attitudini, le proprie passioni, un voto può confondere e farci cadere in un abisso dal quale è difficile venir fuori. L'abisso dell'incertezza.
A che cosa si riduce il mio essere persona? Ad un numero da 1 a 10? A che cosa si riduce il mio piccolo universo, ad un marchio senza senso? Una volta una prof mi ha detto che un voto serve a valutare i tratti di un percorso, non l'alunno quale persona; se prendo un 5 oggi, domani potrò prendere un 10 su un altro argomento.
Ecco, se qualche altro prof la pensasse allo stesso modo, il mondo sarebbe migliore. Perchè il mondo? Non è un'esagerazione. Il mondo sarebbe migliore perchè noi ragazzi siamo i cittadini del domani, e il nostro modo di pensare si forma proprio a scuola. La scuola è una vita in miniatura: ciò che ti insegnano non sono solo le nozioni delle varie materie, ti insegnano che esistono ingiustizie e amarezze da cui o impari a risollevarti o perdi la partita.
Prima di dire a qualcuno "sei da 5", meglio pensare bene a ciò che si sta per esclamare. Perchè nessuno ha il diritto di valutare la vita di un altro; non si può giudicare qualcosa che non si conosce.
E ai prof servirebbe una bella lezione, su quanto siano capaci di far scoppiare in noi una guerra interiore destinata a risolversi con l'annientarsi di tutte le nostre certezze.
Io non sono nè da 5 nè da 7 nè da 10 perchè nessuno può assegnarmi un voto, nessuno può riassumere ciò che sono con un numero. Perchè a volte ciò che mostriamo è lontano mille numeri da ciò che siamo realmente...
Impegnamoci dunque a non assegnare una parola o un voto a qualcuno alla leggera. Perchè in fondo la parola non è l'unica arma a nostra disposizione; c'è nè una altrettanto potente, anzi, forse anche di più.
Il pensiero.
La nostra capacità mentale per cui nulla è impossibile. L'unica parte di noi ad essere realmente libera...

venerdì 14 dicembre 2012

Tristezza e rabbia, binomio perfetto. Buonanotte a tutti i pensatori!

lunedì 10 dicembre 2012

domenica 9 dicembre 2012

Il segreto per vivere al meglio è rivolgere un sorriso lì dove invece avresti voluto versare una lacrima...

venerdì 7 dicembre 2012

Raccontami una storia...


Raccontami una storia.
Un invito accattivante, un desiderio disinteressato, un ordine così flebile, inutile quando non si è disposti ad ascoltare. Cos’è una storia? È un insieme di parole, con più o meno senso, in base a quanto si voglia stupire e coinvolgere chi ascolta. È un fiume in piena nel quale è impossibile bagnarsi nelle stesse acque, è una stella piccola piccola nel grande universo della nostra vera storia. Già, perché di storie ce ne sono tante quante i granelli di sabbia sulla riva del mare, tante quante le goccioline d’acqua che cadono durante un acquazzone, tante quante se ne possono immaginare.. e tanto diverse quanto i fiocchi di neve che cadono in una fredda giornata d’inverno.
Qualche storia è un po’ timida e bisogna scavare nel profondo per trovare il suo significato vero, perché le storie in fondo fanno anche questo, nascondono altre storie: meno evidenti, meno chiassose, meno vivaci, ma non per questo meno importanti.
Raccontare una storia è una grande responsabilità. Una storia può piacere, può annoiare, può illudere o emozionare. Perché? Perché ogni storia attira dentro di noi una storia simile. A volte capita di conoscere già una storia, o di trovarla quasi identica ad un’altra. Il punto è proprio questo: quasi. Nessuna storia è propriamente uguale ad un’altra e al tempo stesso nessuna storia ci è totalmente sconosciuta perché qualcosa di simile è dentro di noi.
Una storia deve essere raccontata per esistere. Ed una volta che ciò avviene, vivrà per sempre.
Alcune cose non muoiono mai: i ricordi, ad esempio. Crediamo di poterli cancellare, di poterli mettere da parte, di distruggerli, ma non è così. Ogni ricordo fa parte di noi, e non possiamo distruggere ciò che siamo. Ogni ricordo va accettato, spolverato e riposto nella grande biblioteca della nostra memoria, per essere a tempo debito ripreso e vissuto nuovamente. Anche i ricordi sono piccole storie della quotidianità, di ciò che siamo stati.
I sogni invece? I sogni sono storie di ciò che vorremmo essere, di ciò che saremo. Anche i sogni non possono essere cancellati. Anche i sogni fanno parte di noi, come noi facciamo parte di una storia. La storia della nostra esistenza.

giovedì 6 dicembre 2012

Per sempre giovani: Il più grande spettacolo dopo il big bang...siamo noi.

Dopo giorni di assenza, eccomi di nuovo qui. La stanchezza in questo tempo è la mia migliore amica; le vacanze di Natale stanno arrivando, già si sente l'aria di cambiamento, certo, è pur vero che la scuola in attesa del loro arrivo, non mancherà nell'essere esigente, anzi...
Sono davvero stanca ragazzi, e ritrovarmi qui a scrivere dopo un lungo periodo di pausa mi rende davvero molto felice. Svuotare il mio essere che in questi giorni si è caricato di emozioni, sensazioni, preoccupazioni ed ansie, mi restituisce un pò di quella tranquillità smarrita ormai da tempo.
Mi scuso in anticipo per i miei discorsi ripetitivi ed a volte tanto tristi, ma ho bisogno di esprimermi e liberarmi da quei pensieri che mi turbano durante il sonno. Certo si sa, noi adolescenti siamo un arcobaleno di emozioni, pensieri, idee... riusciamo a cambiare i nostri stati d'animo come avessimo in mano un telecomando e all'ordine cambiassimo da canale a canale. Oggi siamo tristi, ieri eravamo felici, chissà, magari domani saremo delusi... è inutile tormentarci, siamo fatti così, è la fase di crescita che ci tocca attraversare, d'altra parte noi non siamo nè i primi nè gli ultimi.
Rifletto, rifletto ed ancora rifletto. Chissà quando la smetterò di farmi del male. Osservare, capire ed apprendere, per la precisione è questo ciò che facciamo alla nostra età, e a dirla tutta, sono convinta di star apprendendo qualcosa di negativo dal mondo che mi circonda. La scuola è lo specchio della società, ci trovi gente di tutti i tipi, ed è qui che inizia il confronto con altre realtà, è qui che inizia il processo di osservazione- comprensione. Sono delusa, triste. Ciò che imparo giorno per giorno dai miei compagni, e purtroppo anche dai miei insegnanti, è che la buona morale, i buoni valori, non ti portano da alcuna parte. Sembra un mondo al contario, la brava gente viene derisa perchè sta realmente producendo qualcosa di buono per gli altri, mentre elogiato chi trova il modo per arrivare al traguardo senza affanno e con l'inganno, interessandosi solamente di sè stesso. Non esiste più il bene comune, ma solo il  bene individuale. Nella mia classe è in atto una vera e propria guerra. Siamo ormai giunti al terzo anno, si lotta per riuscire ad avere crediti, e per fare il viaggio che la scuola offre agli studenti meritevoli. Ora, dal momento in cui il gioco è leale, e tutti hanno a disposizione solo e soltanto le proprie capacità e l'ambizione, la voglia di fare, io partecipo con gusto; il problema è che questo gioco pian piano si trasforma in una vera e propria lotta al massacro, e non ho voglia di partecipare per quanto poi, in realtà, sia costretta. Non ho voglia di perdere una partita quando so di non poterla affrontare. Se mi dicessero, non hai ottenuto votazioni alte perchè non ti sei impegnata abbastanza, allora potrei accettarlo, ma non ho voglia di sentirmi dire da chi invece di parlare a volte dovrebbe stare un pò ad ascoltare, non sei riuscita ad essere abbastanza scaltra. Non so se rendo il concetto. Ora, detto francamente, il viaggio, il voto alto, le grazie dei professori, no, non rientrano nei miei prossimi obiettivi, la questione è che questo è il punto di partenza di un qualcosa che va oltre i confini scolastici. Quei ragazzi che ci accompagnano durante le 5 ore di scuola, saranno, insieme a noi, i futuri cittadini. Bene, detto ciò, è davvero un bel guaio! Ci lamentiamo dello schifo che è oggi la politica, con i suoi massimi esponenti che più "massimi" non si può, quando in realtà lo schifo parte proprio dalla nostra piccola quotidianità. Come pretendiamo che altri guidino il Paese con la giusta responsabilità, quando in realtà non siamo in grado di cambiare piccole realtà? Punto enorme di domanda. I sofisti erano detti " prostituti della cultura", questi si facevano pagare da chi voleva apprendere da loro l'arte dell'eloquenza, della retorica, con la quale confutare le tesi dell'avversario, a qualsiasi costo. A me sembra quasi che la scuola si sia ridotta a questo. Trasmette antichi saperi, la cultura, ed insegna l'arte della retorica, che diventa per noi alunni lo strumento grazie al quale non facciamo che massacrarci a vicenda. In questo massacro certo, non sono esclusi gli insegnanti, i quali vengono coinvolti come principali protagonisti di una storia che prevede un finale ricco di "liste nere". Sopravvisuti e sopravviventi dice qualcuno, in fondo è di questo che stiamo parlando. C'è gente che riesce a procurarmi sempre il voltastomaco, hanno facce da vomito, pronti a pestarti all'occorrenza, certo se il caso lo richiede, altrimenti sono i tuoi più grandi amici. Provo oltre che disgusto totale, compassione per questa gente, che evidentemente è pronto a fermarsi all'apparenza.
Spesso ciò che di più bello abbiamo, finisce per scoprirsi per quello che è nelle realtà, e solo allora ti accorgi dello schifo. Spero solo che il mio cielo e le mie stelle, almeno quelle siano vere, che non finiscano per rivelarsi una stupida illusione, perchè è l'unico spettacolo che in positivo riesce a farmi restare a bocca aperta.... di negativi purtroppo ce ne sono fin troppi.

lunedì 26 novembre 2012

mercoledì 14 novembre 2012

Crescere...

Sembra che sia trascorso tanto tempo, ma non è stato altro che un soffio. Sembra abbia percorso tanta strada, ma la via si staglia ancora infinita all'orizzonte. Sembra che mi muova così lentamente, sforzandomi di mettere un piede dopo l'altro sul sentiero dell'esistenza e cercando di mantenere l'equilibrio, ma sta accadendo tutto troppo in fretta...
Bisogna crescere. Arriva un momento nella vita in cui si smette di essere ciò che si era e si diventa qualcun altro. Migliore, peggiore, non ci è dato saperlo; arriva quel momento in cui qualcosa cambia radicalmente, cominci a vedere la vita in modo diverso, ad accorgerti che nulla è come era apparso ai tuoi occhi fino ad allora. Ti guardi allo specchio e ti vedi diverso: ormai non sei più ciò che credevi di essere. Non hai più quel sorriso spensierato, quella voglia di correre all'aria aperta e di gridare al mondo ciò che pensi. Certo, la voglia rimane, ma si è consapevoli di non poterlo più fare.
Quando si comincia a pensare alle conseguenze delle proprie azioni, si inizia a crescere. E una volta innescato, il meccanismo è inarrestabile.
Crescere è difficile, crescere è maledettamente difficile...
Ci si pone tante, troppe domande che non avranno mai una risposta. E la ricerca a quella risposta diventa necessaria, un bisogno, ma diventa anche un'ossessione.
Chi è la persona che ho di fronte a me, riflessa in questo specchio? Non mi sono familiari nè i suoi tratti, nè il suo aspetto, nè il suo sguardo così indagatore... sembra penetrare nella mia anima, alla disperata ricerca di qualcosa in comune, di una piccola idea condivisa, ma è il nulla che incontra. Il nulla del caos del mio universo interiore. Devo ritrarre il mio sguardo da quel tormento, forzare le mie labbra ad un sorriso sciocco, falso, e allontanarmi da quello specchio.
Non conosco più me stessa, non riesco più a capire chi ero, chi sono, chi devo, chi voglio diventare... Il bianco mi sembra nero e il nero bianco. Cosa è bene e cosa è male? Come posso capirlo, se non distinguo neanche ciò che devo fare e ciò che voglio? Crescere... è questa la soluzione. La soluzione, e il problema al tempo stesso.
Ho paura di non riuscire a fare quanto mi viene chiesto di fare. Ho paura di deludere quel qualcuno che potrei diventare e quel qualcosa che devo essere. Ho paura di non riuscire più a risalire lungo il tunnel dei miei dubbi e venire sepolta da questi...
Ma bisogna crescere.
Crescere è importante, perchè crescendo si scopre chi siamo davvero. E può essere anche bello, crescere...
Nonostante non voglio farlo. Non voglio dimenticare ciò che sono e ciò che sto vivendo, non voglio volgermi indietro e pensare con tristezza a cosa ho rinunciato. Non ho nessuna fretta di crescere e di entrare in un mondo in cui non sono la benvenuta...
Crescere è la soluzione e il problema al tempo stesso. E perciò, afferrare la soluzione e risolvere il problema è ciò che dovrò fare... e non dovrò temere il tempo, perchè crescere è un cammino tortuoso, difficile, divertente o speciale, ma comunque ho sempre una vita intera per affrontarlo...

domenica 11 novembre 2012

PER SEMPRE GIOVANI: un giorno un pò speciale!

Il giorno più bello durante il corso di questo 2012 è sicuramente questo: 11 Novembre. Il giorno della mia nascita, oramai 16 anni addietro. Non lo dico perchè convenzionalmente viene detto che è il giorno speciale perchè nascere è il dono più bello, è davvero stato un giorno speciale...e pensare che da come è iniziato le prospettive erano altre. Avrei dovuto passarlo interamente a studiare la tanto odiata materia di biologia. All'inizio è risultato un compleanno diverso, perchè per me questa parola significa festeggiare insieme alla famiglia e agli amici il giorno in cui si è venuti al mondo, e questa volta la famiglia non era al completo. Già, mancava il mio grande e grosso fratello partito ormai da un pò per andare a studiare fuori. Già la sua assenza significava niente famiglia, perchè una famiglia è tale quando è composta da tutti i membri, senza nessuno mancante all'appello. Poi la dimenticanza della mamma di acquistare le uova ha fatto sì che non avessi neppure una torta!!! Poi però, la divina provvidenza ha aggiustato tutto! Intanto mio fratello mi ha chiamata al cellulare per farmi gli auguri, e per ricordarmi che anche se  lontano in realtà è sempre presente; la marea di gente che mi ha chiamata, contattata sui social network , tutti per far sentire la loro presenza in un giorno importante; poi, anche la torta è arrivata. E sì... la mia migliore amica aveva come intuito che mancasse qualche elemento fondamentale. Ci ha pensato lei. Mi ha fatto una torta bellissima e buonissima con le sue mani. In più, tutte insieme le mie amiche hanno voluto regalarmi un fantastico cd dei Beatles! Band che adoro! Insomma, non poteva andarmi meglio...
Questo per me è stato un giorno importante perchè ho sentito davvero il calore di tutta la gente che mi vuole bene, ed ho riscoperto che c'è una marea di gente che mi vuole bene per quello che sono. Sono stati tanti piccoli pensierini, che però mi hanno dimostrato che a qualcuno importo realmente. Devo ringraziare soprattutto la mia migliore amica, perchè lei trova sempre il modo di farmi sentire speciale. A volte ci penso e mi dico che in realtà senza gli amici non avremmo modo di esistere. Se non ci fosse Alice, la vera Giulia non avrebbe modo di venir fuori, perchè solo Alice riesce a tirar fuori la sua essenza.
 E' stata una serata fantastica! L'ho trascorsa nel modo più semplice, con una torta e le mie amiche, ed è questa semplicità che rende il tutto perfetto. Non c'è cosa più bella che condividere la gioia con gli amici. Proprio come diceva Seneca "Nessuna cosa è bella da possedere se non si hanno amici con cui condividerla"... e già, è proprio così, tutto risulterebbe nulla senza la condivisone con degli amici!

sabato 10 novembre 2012

lunedì 5 novembre 2012

E quando si è prigionieri della propria razionalità? Vi è mai capitato di credere che il vostro pensare sia fatale?Che la razionalità vi porti ad un più complesso stato di malessere? E' un periodo in cui mi pongo tante, troppe domande, la mia ragione non smette di tormentarmi. Mi pone i quesiti ed è incapace di trovare delle risposte. Desidererei ardentemente essere come tutti gli altri miei coetanei, spensierata, libera dai dubbi. Sensazione orribile, di impotenza... il rimedio? non esiste...Quando mi pongo determinate domande alla vita, qualcuno mi illumina con l'espressione "L'avventura sta nel viaggio non nel traguardo"...ragazzi non so realmente cosa pensare, spero solo di riuscire a vivere il MIO VIAGGIO, riuscire ad avere  la MIA AVVENTURA, non quella di altri... Scusate per l'immensa tristezza postata.

sabato 3 novembre 2012

PER SEMPRE GIOVANI: l'amore è una cosa semplice, tanto semplice da diventare complessa.

"Eran venti, giovani e forti eppur sono morti"; quest'ultimo compito non ha risparmiato neanche i secchioni. In fondo, però, si sa, la matematica non risparmia. Ormai le vacanze sono solo un flebile ricordo, ci tocca rimboccarci le maniche ed iniziare a produrre qualche buon risultato; sì, vallo a spiegare al mio cervello che è già proiettato verso le vacanze di Natale.Se iniziamo già dai primi compiti a fare cilecca....figuriamoci alla fine quando la tempesta di verifiche e interrogazioni si abbatterà su di noi.Noi ragazze poi, in questo periodo freddo dell'anno non riusciamo proprio a studiare, perché preferiamo restare tutto il tempo abbracciate al nostro tenero ragazzo. Già... quella sensazione incredibile che si viene a creare quando seduti su di una panchina, con il vento freddo che scompiglia le foglie dell'albero che con la sua chioma imponente sembra abbracciarti e proteggerti, quando si sta abbracciati per proteggersi dal freddo pungente, quando lui avvicina le sue labbra al tuo orecchio sussurrandoti parole dolcissime, quando scatta l'infallibile momento del bacio... Sì, tranquilli, solo nelle telenovelas vedrete queste splendide scene. Oramai non esistono più, anzi, vi dirò di più, sembra sia stato bandito qualsiasi atto di galanteria. Non esiste più quell'amore raccontatoci dagli stilnovisti, dove passi di poesie rendevano la donna un essere superiore, capace di avvicinare a Dio. "Al cor gentil rempaira sempre amore", del grande Guido Guinizzelli, poesie stupende che racchiudono un grande sentimento, quello del vero amore. Eh...quei tempi sono finiti; ora sembra si siano scambiati i ruoli, non è più l'uomo a corteggiare la donna per riuscire a farsi notare, è la donna a corteggiare l'uomo, e questo spesso non se la fila neanche! Ho una marea di amiche che non fanno altro che parlare di questo o quel ragazzo, io dico sempre loro che hanno la giovinezza, la salute, la libertà, perché, e sottolineo perché, devono complicarsi l'esistenza con un rammollito, un idiota, un convinto di essere infallibile?! Una mezza volta ho voluto provare anche io, lo ammetto all'inizio davvero senti le farfalle nello stomaco, due o tre giorni di tempo e le stesse farfalle lo hanno mangiato lo stomaco!Non ce la facevo più; vi racconto la mia esperienza. Allora, la mia è una storia al quanto complicata perché non potevo permettermi la stroriella stereotipata nella quale il ragazzo ti nota in un qualche posto e si fa avanti, prima chiedendoti il numero, e poi procedendo passo dopo passo fino al fatidico "mi piaci". NO, dovevo distinguermi; A parte il tipo davvero strano che a vista d'occhio sembrerebbe uno normale, e che poi non lo è, ma la situazione complicata in cui sono andata a finire. Infatti questo era stato per qualche tempo il ragazzo di una mia carissima amica, suddetta era, è e non so se sempre sarà innamorata di questo. Insomma, questo ragazzo per vari motivi aveva deciso di non voler più stare con quest'amica, un giorno, quel maledetto giorno, decide di mandarmi un messaggio in chat, cercando di mettere su un discorso con me riguardo cose al quanto stupide ora che ci penso, ora ci penso....Al tempo io, ahimè,e ribadisco ahimè, ero davvero "cotta" per quel ragazzo, solo che praticavo questo amore platonico nel completo silenzio, perché non potevo permettermi di farlo pubblicamente, cioè con le mie amiche. Insomma, ci scambiamo i numeri di cellulare ed iniziamo a mandarci sms. Ne parlo con la mia migliore amica, posso nascondere a tutti meno che a lei le cose più importanti. Lei mi dice che non importa, che se a me piace devo continuare, perché dovete sapere che intanto, quella mia amica che era tanto innamorata di questo ragazzo aveva già cambiato due/tre ragazzi. Mai ascoltati i consigli degli altri, in questo momento dovevo farlo, tanto da ritrovarmi fregata. Già, perché neanche due settimane di tempo e me lo ritrovo incollato alle calcagna. Non ero più libera di fare un passo fuori di casa mia con la mia amica che me lo ritrovavo ovunque! Io uscivo sola con lui, ma in certi momenti avevo proprio bisogno di ridere e scherzare un pò con la mia amica, e non potevo ogni volta piantarla per starmene sola con lui. Stava occupando i miei spazi. Lo sentivo quasi come uno stalker, più cercavo di evitarlo, più me lo ritrovavo dinanzi ai piedi. Era diventato un terribile tormento. Prendevo una strada perchè credevo lui la evitasse e lui in quel determinato momento in quel determinato giorno in quel secondo doveva trovarsi a passare di li. Un incubo. Di lì a poco non ci siamo più visti, sarebbe stato ridicolo giocare a gatto e topo. Lui, senso dell'umorismo zero, livello di egocentrismo altissimo, superbia infinita... mi chiedo come abbia fatto ad "impazzire" per un elemento del genere. Ho provato sulla mia pelle il detto "l'apparenza inganna", lui era solo apparenza. Due caratteri completamente differenti ed incompatibili. Sfido a trovare qualcuno compatibile al suo carattere, per i primi tempi certo si chiude un occhio, lascia che la gente lo conosca a fondo, deve diventare cieca! Quell'amore di cui parlavamo prima mi ha portato ad un periodo di immensa depressione, altro che animo gentile e donna che porta a Dio! Da quel momento, nessuno più. Credo che ci penserò minimo 100 volte prima di buttarmi in una situazione simile. Ragazze, fidatevi di me e non commettete il mio stesso errore, lasciate perdere per adesso, il vostro principe azzurro busserà alla vostra porta e lo capirete da subito che è lui. Adesso ciò che otterrete sono solo immense fregature, da "uomini" che vogliono togliersi lo sfizio, e cambiarne una dopo l'altra per farsi vedere "fighi". Ho visto bambine trasformarsi in donne per un ragazzo, ho visto persone buttare all'aria la loro infanzia per vivere precocemente "l'amore". Unico problema? Gli anni persi non c'è modo di recuperarli, una volta buttati non si può tornare indietro. Questo ciò che fa del tempo una cosa preziosa, questo ciò che fa della nostra vita la cosa più bella ed importante.

I Leanson: una dolce ricetta!


Uno, due, tre cucchiai di farina. Belli grossi, altrimenti il composto rimaneva troppo liquido. Per Petunia, le dosi dei libri di cucina erano solo per coloro che non avevano mai preso un mestolo in mano: già, perché era impensabile fare un dolce con un righello e un contagocce pronti all’uso per ogni minimo ingrediente. L’esperienza era la sua miglior ricetta; per ottenere una bella crema pasticcera, ad ogni cucchiaio di farina andava abbinato un bicchiere di latte e una dose di zucchero. Poi, la sua arma segreta: vaniglia, che Nathalie adorava, e un po’ di succo di limone, che piaceva invece a Matt; ma non troppo, altrimenti Josy non l’avrebbe mangiata. Petunia ringraziò per l’ennesima volta il cielo perché Dan era ancora piccolo: era l’unico che non si lamentava mai di nulla. Sarebbe impazzita, se avesse dovuto tener conto anche dei suoi gusti.
Era inutile negarlo: fare la mamma era una vera e propria vocazione. Bisognava tener bene a mente tutto ciò che andava fatto, seguire ognuno dei componenti della sua famiglia, e non solo i più piccoli. Matt e Nathalie sapevano essere testardi quanto Josy e a volte credeva che la persona più matura tra i suoi quattro figli fosse proprio Dan.
Con un sospiro, tornò a mescolare la crema. Bisognava farlo continuamente, in modo da non farla bruciare. Era un procedimento lungo e noioso, ma necessario: senza crema, il millefoglie sarebbe stato un pasticcio. Diede l’ultima occhiata al libro di ricette posato sulla cucina, aperto alla pagina sbagliata, e lo richiuse con rassegnazione. Quanto facevano sembrar facile e veloce qualcosa che di facile e veloce non aveva nulla!
« Mamma è pronto? »
Josy adorava il millefoglie, ma ancor di più aiutare sua madre a ripulire il contenitore della crema. Petunia sorrise quando la vide già armata di cucchiaio.
« Non è ancora finita. » la informò con pazienza, ben sapendo che sua figlia ne aveva poca in materia di dolci.
« Ma quanto ci mette?!? » esclamò disperata, sporgendosi in punta di piedi per vedere il contenuto della pentola sul fuoco.
« Guarda. » affermò Petunia, inclinando il bordo del contenitore in modo che Josy potesse rendersi conto che la crema era ancora troppo liquida. « Qualche altro minuto. »
« Posso mescolare io? »
Sapeva che l’entusiasmo di sua figlia era dettato dalla sua golosità: identica a Marshall, nel carattere e nell’aspetto.  Dei suoi quattro figli, solo Nathalie aveva ereditato i suoi occhi verdi: Matt, Josy e Dan avevano gli occhi scuri come il loro papà. Nel carattere, chiunque li avesse conosciuti avrebbe affermato con sicurezza che della tranquillità e dell’accuratezza nelle piccole cose propria di Petunia non ne era rimasta neanche l’ombra. Anzi, quel chiunque avrebbe faticato persino ad ammettere che erano fratelli e sorelle, tanto erano diversi tra loro. Matt le ricordava suo marito da giovane: aveva grande entusiasmo, voglia di fare, ma sapeva sedere e ascoltare, se necessario. Nathalie, invece, era Nathalie: un modo così personale di vedere il mondo, tutto suo, così spensierato. Le ricordava così tanto sua sorella, anzi era certa sarebbero andate tremendamente d’accordo, se solo…
Petunia deglutì e si costrinse a sorridere a Josy mentre l’aiutava a prendere una sedia. Josy era tutta suo padre: fiera, libera, ribelle, testarda. Se voleva qualcosa, doveva ottenerla ad ogni costo e nulla avrebbe potuto farle cambiare idea. Al contempo, era una bambina così dolce, così allegra, che riusciva a contagiare tutti. Così esuberante, e decisamente così tanto golosa! Adorava i dolci di ogni tipo: dal cioccolato al caramello, dalle paste ai gelati, dai cioccolatini ai frullati. Se si voleva far tornare sua figlia di buon umore, un dolce era ciò che ci voleva.
« Attenta a non scottarti! » l’avvertì, aiutandola a mescolare.
« Mamma possiamo metterci lo zucchero a velo? »
« Alla fine sì. »
Josy fremeva dalla voglia di assaggiare quella crema che era sicura sarebbe stata così deliziosa e l’attesa non faceva che accrescere il suo desiderio e la sua impazienza.
« Ma quanto ci mette! »
Petunia rise, prima di lasciarla da sola a mescolare e raggiungere Dan che giocava tranquillo sul pavimento. Lo prese in braccio e, dopo avergli dato un leggero bacio sulla guancia, lo fece sedere a tavola. Poi, finalmente, spense il fuoco.
« Evviva! » gridò Josy, precipitandosi a riprendere il cucchiaio.
« Calma, deve raffreddarsi un po’! » esclamò, continuando a mescolare. « E prendi un cucchiaio anche a tuo fratello! »
La bambina, sbuffando, porse a Dan il suo cucchiaino colorato e si sedette accanto a lui. Proprio quando Petunia stava per mettere un po’ di crema in un piattino, Marshall entrò in cucina.
« Che profumino! »
Sapeva bene che quella frase di suo marito in realtà ne aveva sottintesa un’altra, perciò porse anche a lui un piatto, alzando gli occhi al cielo.
« Non dovevi! » esclamò ridendo Marshall.
Mentre lei riempiva la pasta sfoglia, fu accompagnata dal rumore di cucchiai all’opera. Sperò che la crema sarebbe bastata, anzi si affrettò ad usarla perché sapeva che quei tre golosi avrebbero chiesto molto presto un’altra porzione.
« Matt e Nathalie? » chiese suo marito, tra un cucchiaio e l’altro.
« I tuoi figli mi hanno abbandonata qui con un mucchio di cose da fare. » esclamò Petunia, agitando minacciosamente una paletta di legno piena di crema verso di lui.
« Costringere Nathalie a fare le faccende di casa è una vera impresa… »
« Io ho rifatto il mio letto stamattina! » intervenne Josy, fiera del suo piccolo contributo.
Marshall le diede un colpetto di assenso sulla spalla e tornò a rivolgersi a sua moglie.
« Speravo di uscire tutti insieme stasera… lo scopo di questa vacanza era trascorrere del tempo insieme no? »
« A me piacerebbe molto. Andiamo a quel locale sulla spiaggia vicino alla scogliera? Quello dove Nathalie ha festeggiato tutti i suoi compleanni qui? » propose con entusiasmo Petunia, perdendosi nei ricordi.
« Ora è diventato un pub. » la informò Marshall.
La donna rimase immobile per un momento.
« Un PUB? Ma era così deliziosa quella sala! Quelle tendine rosa pallido… le adoravo!
« Sono cambiate molte cose… »
Petunia era stupita: quel ristorante era stato un punto fermo di ogni loro vacanza sull’isola. Quanti ricordi! Come poteva essere stato trasformato in un pub?  E la loro tradizione di festeggiare il compleanno di Nathalie lì? Quante cose erano cambiate? E quali?
Il tempo cambiava ogni cosa, ma per Petunia era troppo. Dove era finito l’isola del suo passato? L’isola dei meravigliosi momenti insieme?
« E poi, sono sicuro che convincere Matt e Nathalie a stare con noi non sarà facile. » aggiunse Marshall, posando il cucchiaio nel piatto ormai vuoto.
Già, il tempo cambiava le cose. Cose: strade, paesaggi, città, luoghi. Sì, ma soprattutto cambiava le persone. Erano cambiati anche loro?

sabato 27 ottobre 2012

"Mai, mai dimenticare chi sei, perché di certo il mondo non lo dimenticherà. Trasforma chi sei nella tua forza, così non potrà mai essere la tua debolezza. Fanne un'armatura, e non potrà mai essere usata contro di te.. " ( Cronache del ghiaccio e del fuoco )

giovedì 25 ottobre 2012

Supplenze, scioperi, feste.. SI SI SI!

Ormai è trascorso più di un mese dall'inizio della scuola e tutti noi non vediamo l'ora che passino anche gli altri sette/otto, ma è sfortunatamente troppo presto per iniziare a pensare alle vacanze. Questo è il periodo del tener duro, dello studio continuo e disperato, il periodo in cui ci viene chiesto uno sforzo maggiore, in cui il riposo non è concesso. Già, perchè poi si sa che tra Natale, Pasqua, Carnevale e feste varie il secondo quadrimestre passa in fretta; è il primo che deve preoccuparci. Tuttavia, un modo per concederci una breve pausa noi studendi lo abbiamo trovato: lo sciopero! Chiunque di noi almeno una volta si è concesso uno strappo alla regola, perfino i secchioni reprimono il loro malessere e si uniscono ai più. Che sia per la scuola, per il lavoro, per il futuro, per il gesso che manca, per la palestra che crolla, ogni motivo è valido per protestare! Naturalmente alcuni scioperi sono davvero interessanti perchè fatti con motivazioni davvero valide: pensiamo a quelli che ci riguardano da vicino, come i tagli all'istruzione o all'università, e non possiamo che non far sentire la nostra voce quando è della nostra vita che si decide.
Comunque sia, lo sciopero è manna dal cielo per gli studenti. E i professori invece?
Quanti di voi hanno almeno un prof che detiene il record delle presenze in classe? E quanti di voi, invece, ne hanno almeno un paio che combattono per aggiudicarsi il premio di prof assenteista dell'anno? Naturalmente avranno le loro buone ragioni per assentarsi, ma non possiamo non dire che per noi è la notizia più bella che ci possa mai venir data.
Che emozione quando il bidello entra con il foglio che accerta l'uscita anticipata o l'entrata posticipata! E ancora più emozionante è scoprire che l'insegnante che manca ha diverse ore nella nostra classe proprio quel giorno! Ciò vuol dire una sola cosa: SUPPLENZA! Il momento in cui speriamo di poterci riposare, poter ripete qualcos'altro, chiacchierare e rilassarci... è il momento in cui speriamo di veder arrivare in classe qualche prof che è disponibile, magari proprio quella prof che adoriamo tanto...
Insomma, che siano supplenze, scioperi o feste, l'importante è sempre ringraziare il cielo per la loro esistenza! :D Se non ci fossero, chissà se arriveremmo vivi alle vacanze natalizie! Perciò, non possiamo non augurarci BUONE SUPPLENZE E BUONI SCIOPERI!

Musica... e ancora musica

Splendida melodia del genio di Yiruma, River flows in you.
Non è difficile immaginare il perchè del binomio musica-emozione...

mercoledì 24 ottobre 2012

PER SEMPRE GIOVANI:esperienze? sì grazie!

Allora...vediamo un pò, dove eravamo rimasti? ah sì, ecco... come avrete potuto capire il mio nome è Giulia ho sedici anni e frequento il terzo anno del liceo scientifico. Capelli biondi, occhi scuri...na, non mi perderò in queste sciocchezze, ho cose più importanti da raccontare. Vi ho già accennato riguardo la mole di amici "tutti strani" che ho, ma quella era solo una piccola parentesi, ho tanti episodi da raccontarvi e "tipi" da descrivervi. Forse, a questa età, noi ragazzi siamo un pò "schizzati", questo fa sì che ognuno di noi risulti "strano, particolare" alla massa. Ne ho conosciuta di gente bizarra...di tutte le specie. Ad esempio, durante le mie vacanze estive, ho avuto la possibilità di partecipare ad una "vacanza-studio" (che di studio ha ben poco) che mi ha permesso di soggiornare, insieme ad altri duecentocinquanta ragazzi di tutta Italia, quindici giorni in Inghilterra. Inizialmente convivere con quella gente è davvero difficile! Ti accorgi che su 250 persone, ragazzi della tua stessa età, neanche uno è simile a te. I primi giorni che ero lì, fui un pò perplessa: possibile che pur venendo dalla stessa nazione, pur essendo accomunati da una cultura, una lingua, modi di vita, sembra che viviamo chi in Alaska e chi nel Sahara?! Ora, tralasciando le nostre megagalattiche conoscenze della geografia, credo che se vi racconto di quella gente che proveniva dalla stessa regione e non lo sapeva, voi vi deprimiate e smettiate di leggere, così, facendo finta di non saperlo, passerei alla questione non c'è un bel niente di culturale e/o strorico ad accomunare tutte le nostre splendide regioni italiane. Sembrà strano, o forse no, ma da nord a sud sembra ci sia un oceano a dividerci. Certo, ci tengo a specificare che questo non vuol dire che l' Italia va divisa! Ci sono stati uomini che hanno lottato e perso la vita per unirla, e certo non aspettandosi di perdere anche questa memoria. Quello che volevo sottolineare era che l'Italia è meravigliosa così, nella sua diversità, nella condivisione di regole e leggi pur avendo culture diverse. E poi l'Italia è così, chi pretenderebbe di separare il mare.
Vi dicevo della gente che ho incontrato in questo viaggio, gente strana: persone con i capelli color arcobaleno, gente con seri problemi mentali, chi di schizzofrenia acuta, insonnia e tanto altro. Insonnia, eh... non ho visto l'ombra del letto per la bellezza di due settimane! Ci riunivamo in 15/20  in una stanza di 2m per 2! Roba da svenire. Eravamo vogliosi di condividere la notte tutti insieme e farci compagnia a vicenda invece di stare solitari, avevamo persino una grande voglia di dormire ma, sai quando 5 persone condividono un misero letto ad una sola piazza, c'è ben poco da dormire.Io condividevo il mio letto con altre 5 ragazze, e praticamente si può dire che il 90% del mio corpo era sospeso nel vuoto, l'altro 10% era sotteso e incastrato dalla gamba dell'altra che ancora mi teneva ancorata al letto per modo di dire. Con il capo praticamente appeso al bordo del letto, il sangue che mi arrivava al cervello donandomi quella sensazione da "sono completamente fatta", cercavo di chiudere gli occhi concentrandomi sulla fatidico binomio 6:00 del mattino- lezione. Quasi riuscivo ad addormentarmi quando risate tremende mi rimbombano nell'orecchio, apro gli occhi e per un quarto d'ora giuro, ho davvero creduto di essere diventata cieca in quanto un flesh potentissimo, di quelli che ti fanno un lavoro di completo acciecamento per un bel quarto d'ora, che neanche i migliori acidi riescono, ecco, uno di quei flesh, mi riempie la vista non appena schiudo le palpebre nel buio più completo. Potete immaginare il resto; il sangue al cervello c'era tutto, ero ormai diventata cieca ed il pensiero che il mattino che si apprestava a nascere dovevo andare a lezione rendevano schizzata.Recuperata la vista, vado per muovermi, per spiegare alle mie compagne, che dall'altro capo del letto mi ridevano in faccia, che non ero affatto felice del simpatico scherzo che mi avevano fatto, quando mi ritrovo non semplicemente giù, ma sotto il mio letto, che di mio era rimasto solo il cartellino. Umiliata, piena di polvere mi rialzo e cosa faccio?... scoppio a ridere anche io! Non mi restava che ridere, oramai, le mie speranze di riuscire a dormire almeno un'ora erano vane. Così per tutti i 15 giorni. Risultato? puntualmente il mattino eravamo peggio dei cani rabbiosi, suscettibili, nervosi e ovviamente stanchi. Non mi era mai capitato di addormentarmi durante la lezione, così per evitare di essere cacciata dall'insegnante bevevo chili e chili di caffè, che poi chiamarlo caffè è un grave insulto a quella bevanda color marroncino, che qui in Italia siamo soliti bere. Era acqua immischiata ed una strana polvere: una porcheria unica, per un'amante del caffè come me.
Certo, l'insegnante non aiutava, il suo parlare esclusivamente in inglese faceva sì che io restassi al di fuori dei discorsi, figuratevi, non riuscivo a parlare e comprendere in italiano! Eh...che fantastica esperienza. Posso assicurarvi che mi sono affezzionata molto a quella gente "bizarra". Adesso, solo adesso, che mi rendo conto di non poter più condividere con loro le mie giornate, rientro nell'ottica che era fondamentale conoscerli tutti. Nella loro diversità erano importanti. Sapete cosa ho imparato da questa esperienza? che ogni ESPERIENZA, anche la più spiacevole in realtà si verifica un prezioso aiuto alla vita.Per quanto non lo saremo mai, più arricchiamo il nostro bagaglio più saremo completi. Più gente abbiamo la possibilità di conoscere, più il mondo ci sembrerà piccolo nella sua vastità! 

domenica 21 ottobre 2012

I Leanson: nuovi amici!


La distesa d’acqua si estendeva a perdita d’occhio. Non un’onda, non una nuvola in cielo. La pace più assoluta. Nathalie guardava con sospetto a quel magnifico paesaggio: non sapeva perché, ma tanta tranquillità, invece di farle piacere, la turbava in modo del tutto irrazionale. Si guardava continuamente intorno, come se qualcosa stesse per accadere; quell’aspettativa le toglieva il respiro, le faceva battere forte il cuore, la spaventava così tanto. E poi, quel qualcosa arrivò.
Il cielo si fece carico di nubi scure, il mare cominciò ad agitarsi. Un vento impetuoso la spingeva indietro, mentre alte onde si avvicinavano alla spiaggia, lì dove lei era inerte spettatrice del caos degli elementi. Voleva fuggire, scappare lontano, cancellare dalla mente anche solo il ricordo di quello spettacolo così spaventoso, ma non ci riusciva. Sentiva migliaia di fili invisibili che la trattenevano lì contro la sua volontà e ogni suo sforzo era inutile, anzi sembrava aumentare la forza che le impediva di allontanarsi. Il pericolo si faceva sempre più vicino, la tempesta stava arrivando e Nathalie non poteva far altro che urlare nel tentativo di mettere fine a quell’incubo…
Si svegliò madida di sudore, sconvolta e senza fiato. Si guardò intorno, cercando di capire cosa le fosse accaduto. Era distesa sul suo letto e di fronte a lei Josy, sua sorella, dormiva tranquillamente. Niente nella stanza sembrava essere fuori posto, o meglio tutto era normalmente fuori posto: sapeva che sua madre avrebbe avuto un colpo quando, entrando in quel disordine totale, le avrebbe viste a letto invece che impegnate nelle pulizie; ma in quel momento essere circondata dalla normalità le fece bene. Si alzò e, evitando gli ostacoli disseminati per la via, raggiunse la finestra: fuori il cielo preannunciava una meravigliosa nuova giornata, del tutto simile a quella precedente e all’altra prima ancora. Su quell’isola, il brutto tempo sembrava non esistere. “ Tanto meglio. ” pensò Nathalie, che di rivivere il suo incubo proprio non ne aveva voglia.
Un leggero venticello le scompigliò i capelli, mentre cercava di non pensare più a quell’orrenda sensazione che aveva dentro. Ecco cosa avrebbe fatto, quel giorno: convinto Martin ad accompagnarla al capo nord dell’isola, dove i venti erano sempre più impetuosi e dove le sarebbe piaciuto passeggiare sugli scogli. Sperò che anche lui trovasse soddisfacente l’idea e che soprattutto sarebbero stati solo lui e lei, senza quei suoi strani amici. Strani, in effetti, era un modo diverso per esprimere un complicato concetto: li trovava simpatici in alcuni momenti, terribilmente antipatici in altri; le dispiaceva essere continuamente tormentata dalle loro domande, ma non le faceva neanche piacere essere lasciata in disparte. Un insieme di sensazioni ed emozioni contrastanti che Nathalie associò alla scarsità del tempo trascorso insieme: magari, dopo qualche altro giorno, si sarebbe inserita meglio anche lei. Bran, Serena, Lori, Gabriel, Marco, Alex, Francesco, Lucy: faticava persino a ricordare i loro nomi. Martin glieli aveva presentati uno ad uno.
« Lei è Lori. In realtà si chiama Loretta, ma non ne è molto entusiasta. » le aveva spiegato, mentre lei le stringeva la mano.
Lori era stata molto gentile con lei: era una ragazzina solare e vivace, con i capelli più scuri che Nathalie avesse mai visto, e grandi occhi neri. Martin le aveva sussurrato che poteva chiamarla Loretta tutte le volte che voleva farla arrabbiare e le aveva assicurato che sarebbe stato un vero spettacolo.
« Francesco e Marco… » aveva poi continuato, presentandole i due ragazzi.
Nathalie li aveva salutati con un sorriso, cercando di nascondere l’imbarazzo, poi fortunatamente Martin aveva proseguito quel rituale di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
« Lei è Lucy, poi c’è Bran, il suo fratellino , » aveva aggiunto, indicandogli un ragazzino dai capelli biondissimi.  « Gabriel, Serena, e infine… »
« Alex! » aveva esclamato la ragazza vicino a lei, abbracciandola con entusiasmo. « So già che diventeremo grandi amiche! »
Nathalie lo sperava davvero, con tutta se stessa. Sembrava l’unica della famiglia a non essersi ancora abituata alla vita sull’isola: sua madre aveva fatto conoscenza con tutte le casalinghe del paesino, suo padre e il padre di Martin erano inseparabili, Josy e Dan erano così entusiasti della natura e di quel mondo, perfino Matt sembrava essere impegnato in qualcosa che lo rendeva felice. Lei invece? Cosa aveva fatto? Niente, se non prendersi una cotta per quello che un tempo era stato il suo migliore amico d’infanzia. Lei e Martin erano stati sempre insieme, avevano sempre condiviso tutto, ogni segreto, ogni idea, ogni gioco. Poi, erano cresciuti; e crescendo, quel legame magico che li univa si era spezzato. A Nathalie mancava quel mondo tutto loro e si sforzava di sorridere ogni qualvolta lui ricordasse i tempi passati, definendoli i tempi in cui erano solo due sciocchi ragazzini. Come avrebbe potuto dirgli che per lei quei tempi erano stati importanti? E come poteva dirgli che lui era importante per lei? Rivederlo era stato stupendo e solo ora riusciva a capire che non era stato semplicemente il ricordo del loro passato a farle battere il cuore, ma la sua presenza. Stringergli la mano, ridere insieme a lui, passeggiare fianco a fianco sulla spiaggia al tramonto… Come aveva fatto ad innamorarsi di Martin?
Scosse la testa e si impose di non pensarci. Sarebbe scesa a fare colazione, tanto di dormire non ne aveva più nessuna voglia.
Attenta a non svegliare nessuno, scese le scale e andò in cucina. L’aria della mattinata era sempre dominata da quella splendida sensazione della natura che si risveglia e Nathalie la inspirò a fondo, mentre attraversava il salotto. Era così presa dalla contemplazione del creato che non si accorse che il divano era vuoto.
« Già in piedi? » le chiese Matt, intento a mescolare la sua tazza di caffè.
Nathalie annuì, mentre apriva la dispensa alla ricerca dei cereali.
« Anche tu non riesci a dormire? » gli domandò, afferrando una tazza e una bottiglia di latte.
« Esco presto stamattina. »
« E dove vai? » domandò con sincera curiosità, sedendosi di fronte a lui.
Matt sorrise, ma non le rispose. Adorava far morire di curiosità sua sorella ed sapeva che Nathalie non avrebbe resistito a lungo prima di supplicarlo per avere la risposta alla sua domanda.
« Dove vai? Dimmelo! » esclamò poco dopo, lanciandogli un’occhiataccia.
« Porto Lili a fare un giro in spiaggia. »
L’espressione della ragazza cambiò rapidamente.
« Guarda che non sei costretto a stare con lei solo perché è … »
« Voglio farlo. » la interruppe Matt.
Nathalie non lo capiva proprio, a volte. Aveva trascorso quasi tutti i pomeriggi con quella ragazza e aveva rifiutato di unirsi alla loro compagnia; certo non le dispiaceva affatto, ma che cosa lo tenesse legato a lei proprio non lo sapeva.
« Tu dove vai oggi? »
« Non lo so. Penso che cercherò Lori, Alex e Lucy. » mentì, cercando di esprimere sincero entusiasmo.
« Sono contento che le altre ragazze ti piacciano. »
Nathalie annuì e tacque. Terminò in silenzio la sua colazione, poi si alzò.
« Allora buona passeggiata in spiaggia, Matt. »
« Buona uscita con le tue nuove amiche, Nathalie. » le augurò lui di rimando.
La ragazza accolse con piacere l’augurio, ma sperò comunque che quella buona uscita l’avrebbe avuta solo e soltanto con Martin.

sabato 20 ottobre 2012

Colosso della musica degli anni '60. E' proprio vero che alcune canzoni non moriranno mai, resterà sempre la loro melodia nell'aria. Questa canzone ne è l'esempio! Un omaggio ai grandi Beatles...Buonanotte!



Quando cerco me stesso in periodi difficili
Madre Mary viene da me
Dicendo parole di saggezza: lascia che sia
E nella mia ora buia è
Proprio di fronte a me,
Pronunciando parole di saggezza: lascia che sia

Lascia che sia, lascia che sia, lascia che sia, lascia che sia
Sussurrando parole di saggezza: lascia che sia.

E quando tutte le persone dal cuore infranto
Che vivono sulla terra si trovano d'accordo
Ci sarà una risposta: lascia che sia
Perché anche se sono isolate
Vedranno che per loro c'è ancora un'opportunità
Ci sarà una risposta: lascia che sia

Lascia che sia, lascia che sia, lascia che sia, lascia che sia
Ci sarà una risposta: lascia che sia

E quando la notte è cupa c'è
Ancora una luce che risplende su di me
Splenderà fino a domani: lascia che sia
Mi sveglio al suono della musica
Madre Mary viene da me
Pronunciando parole di saggezza: lascia che sia

Lascia che sia, lascia che sia, lascia che sia, lascia che sia
Ci sarà una risposta: lascia che sia

Lascia che sia, lascia che sia, lascia che sia, lascia che sia
Sussurrando parole di saggezza: lascia che sia.
Ed eccoci di nuovo qui, finalmente. Dopo un lungo periodo di pausa siamo tornate. Abbiamo tante nuove idee da realizzare e tante storie da raccontarvi, speriamo solo che il tempo ci renda tutto più facile. Abbiamo pensato di introdurre qualcosa di nuovo alle nostre solite tematiche, qualcosa che riguarda più da vicino noi ragazzi. Con l'augurio di un buon week-end, vi lasciamo con questa nuova serie.




PER SEMPRE GIOVANI: E' soltanto l'inizio.

Si dice che per crescere bisogna lasciar dormire il bambino che siamo stati, fermarsi completamente e vincere la paura di essere o non essere. Si dice che a distinguere il bambino dall'uomo sia la capacità del primo di addormentarsi nelle illusioni, perdendo così la cognizione del tempo e della realta, e la capacità dell'altro a non riuscire a soddisfare mai i propri voleri, le proprie embizioni: nulla è mai abbastanza. Si dice che il bambino e l'uomo non possano vivere nella stessa persona, che si respingano tra di loro, ma che non possano fare a meno l'uno dell'altro.
Crescere, crescere, crescere... che fatica! Ho solamente 16 anni ma in me esistono già due persone: la Giulia grande che deve maturare, iniziare a preoccuparsi per il suo futuro, studiare e lasciar perdere le distrazioni; la Giulia piccola che non è abbastanza per poter scegliere, per decidere cosa le piace o non le piace fare.Certo, perchè tutto è relativo. Perchè ogni cosa deve essere guardata da tutti i punti di vista, bisogna tener sempre conto dell'altra faccia della medaglia. Questo ciò che affermano i miei quando vogliono che io faccia qualcosa che non mi va di fare. Sono loro a scegliere cosa sia meglio per me. Un esempio? Studiare vs Scrivere. Quando passi un'intera giornata sui libri a studiare quelle tanto odiate materie, arrivi a fine serata, ti munisci di un foglio e di una penna e inizi a scaricare tutto il tuo stress. Credo che non ci sia niente di male in questo ma... tutto è relativo. come infatti affermano i miei, quel tempo che io spreco a scrivere, potrei benissimo investirlo nello studio matto e disperato, potrei continuare fino allo stremo, fino a quando non inizio effettivamente a dare i numeri, a dare segno di totale psicosi. Solamente quando, ponendomi la domanda come ti chiami, io risponda Roberto D'Altavilla, strizzando gli occhi, rossi e gonfi,  come una vera e propria persona uscita fuori di senno. Ma per fortuna i miei genitori, che hanno una tale immaginazione da pensarmi in una situazione triste come quella che vi ho appena descritto, li ascolto quasi mai. Così passo il mio tempo a buttare giù quattro righe, una sensazione che mi fa sentire benissimo, altro che fuori di testa! Già, scrivere riesce ad emozionarmi, a rilassarmi; contemporaneamente riesco a svuotare e riempire: svuotare la mia anima colma di emozioni e riempire il bianco del foglio, che non chiede altro che essere raccontato.
Ora, tralasciando l'argomento genitori, vi parlarei un pò dei miei amici; ne ho di tutti i tipi: da quelli fissati per lo studio che ti rimpiazzerebbero con piacere con una professoressa di fisica a tempo pieno, a quelli totalmente privi di ogni conoscenza in ambito culturale, ancora, quelli intelligenti ed astuti che riescono a prendere tutti otto e nove senza mai aver visto l'ombra di un libro, e quelli che pur studiando ed andando a ripetizione non vedono mai l'ombra di un sei, quelli estroversi ed esplosivi e quelli introversi e tanto sensibili. Un arcobaleno di amici. Amici di tutti i colori, quelli più chiari e quelli più vivaci; il bello è che ho bisogno di tutti, tutti sono indispensabili e complementari.
Per adesso ciò che posso impegnarmi a raccontarvi è il mio breve viaggio, iniziato 16 anni fa, detto così sembrerebbe che di breve non ha proprio niente, ma posso assicurarvi che comparato al viaggio di altri, all'esperienza di altra gente, il mio è solo un breve respiro. D'altra parte questo è soltanto l'inizio di una storia che condivideremo insieme, che tratta a sua volta dell'inizio di un viaggio ancora lungo e tortuoso... non preoccupatevi, è soltanto l'inizio...