Filippo aveva atteso per tanto tempo l’arrivo di quella lettera e soprattutto aveva desiderato ardentemente di sentirsi vicino a suo padre, anche solo immaginando la sua mano muoversi sul foglio bianco. Gli mancava tanto, gli mancavano le chiacchierate fino a tarda notte, le vacanze al mare, i loro piccoli litigi, le lunghe riflessioni sulla vita che gli facevano guardare il mondo da una prospettiva particolare. Suo padre, in fin dei conti, aveva un motivo ben valido per non pensarla come la maggior parte delle persone: aveva visto la morte, la povertà, la sofferenza e ciò che realmente significava la parola guerra. Essere vicini alla fine di tutto aiuta a non sprecare l’unica possibilità di vivere che ci è stata offerta, era solito ripetere. La guerra è nemica dell’umanità, ma a Filippo sembrava che l’umanità stessa non potesse farne a meno: non riusciva mai a trascorrere più di un anno in compagnia di suo padre e ogni volta che sentiva squillare il suo cellulare, immaginava cosa sarebbe accaduto. Ricordava con tristezza quando, da bambino, continuava a pregarlo di non abbandonare lui e sua madre e di lasciare che fosse qualcun altro a partire per la guerra, e soprattutto ricordava quando suo padre, sorridendogli dolcemente, gli spiegava che il suo era un dovere verso lo Stato e che il suo lavoro avrebbe aiutato tanti bambini a riabbracciare i propri papà. Anche sua madre gli diceva spesso che doveva essere orgoglioso, contento di avere un eroe come padre, un eroe che portava un sorriso dove della felicità non vi era più traccia, un eroe che regalava una speranza a chi ormai non ne aveva alcuna, un eroe che combatteva per un mondo migliore, un mondo in cui la sua famiglia sarebbe stata contenta di vivere. Tuttavia, nonostante quelle parole così belle, l’aveva vista piangere tante volte, mentre abbracciava suo marito e mentre gli sussurrava che presto sarebbero stati di nuovo insieme. Non capiva allora cosa realmente significasse partire per la guerra, ma nemmeno ora, dopo tanti anni, riusciva a comprendere in pieno cosa significasse essere un soldato.
Filippo lesse tante volte
l’ultima lettera di suo padre e osservò con attenzione tutto ciò che vi era
scritto. Stava bene, o almeno così scriveva in quel messaggio. Sua madre aveva
pianto di nuovo mentre la leggeva ed era sicuro che in quel momento lo stesse
ancora facendo, chiusa nella sua cameretta. Non dormiva mai nella camera da
letto quando suo marito non c’era e
Filippo aveva imparato ad associare il suo spostamento in quella stanza al
ritorno di suo padre. Negli ultimi tempi, tuttavia, era rimasta chiusa a lungo,
il letto perfettamente intatto, nell’oscurità più completa. L’umore di sua
madre continuava a peggiorare e ormai
aveva preso l’abitudine di scrivere lettere a suo padre senza mai spedirle.
Filippo capiva il suo bisogno di avere accanto suo marito ed era in effetti lo
stesso che sentiva lui, ma aveva trascorso sedici anni a convincersi che fosse
giusto così, che fosse inevitabile la partenza di suo padre e che non doveva abbattersi,
ma crescere, imparare, sperimentare, osservare e comprendere per renderlo
orgoglioso anche solo la metà di quanto lo fosse di lui.
“ Devo partire, ma sappi
che ci sarò sempre per te ”. Era solito ripetere mentre si salutavano
all’aeroporto militare e Filippo credeva ciecamente in quelle parole, ma era
consapevole che anche lui aveva una piccola “missione” : condividere suo padre
con il mondo, lasciare che portasse la pace e appoggiarlo nelle sue difficili
scelte. Essere un soldato è una scelta coraggiosa, difendere il proprio Paese è
un onore e un privilegio, era ciò che un rappresentante dello Stato continuava
a ripetere alle truppe in partenza.
Era
la frase con cui Filippo aveva deciso di iniziare il suo tema: La guerra e le sue conseguenze. Il
destino aveva voluto che questo compito gli fosse stato assegnato proprio il
giorno in cui aveva ricevuto la lettera da suo padre, perciò aveva deciso di
ricambiare quelle sue splendide riflessioni con una risposta altrettanto
elaborata e particolare. Aveva deciso di spedirgli proprio quel tema insieme
alle poche righe che era solita scrivere sua madre. Non aveva mai sopportato la
lontananza ma non voleva che quella situazione spiacevole per tutti pesasse
ancora di più su suo marito, così scriveva semplicemente che tutti stavano bene
e che attendevano il suo ritorno, che gli mancava tanto ma che comunque
occupava il tempo dell’attesa del suo ritorno con una nuova attività. Fosse la
lettura, la pittura, l’arte o la danza, Filippo era sicuro che sua madre non
avrebbe mai riempito il vuoto che portava nel cuore perché per quanto si
sforzasse di tenere la mente occupata nulla era paragonabile alla sensazione di
stringere tra le braccia la persona che amava. Cercava di farle forza, ma lui
stesso a volte aveva pregato a lungo per la fine della guerra. Non sapeva mai
con certezza quanto questa sarebbe durata e a volte aspettava per mesi interi,
invano, poi arrivava una chiamata che annunciava il suo ritorno e tutta la tristezza, il dispiacere di quel
tempo trascorso in sua attesa, il risentimento, tutto scompariva per lasciar
posto alla felicità di averlo accanto, di vedere finalmente la famiglia
riunita. L’importanza di quel lavoro sarebbe stato l’argomento principale del
suo tema, insieme ala necessità di persone coraggiose che come suo padre si
impegnavano ogni giorno per gli altri, per garantire al mondo intero la pace.
Filippo
cominciò a scrivere tutto ciò che aveva sentito dire sull’esercito, prese
spunto dalla maggior parte delle riflessioni presenti nella lettera e cercò di
far comprendere a suo padre quanto fosse realmente orgoglioso di lui e quanto
gli volesse bene. Probabilmente non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo di
persona, ma la risposta a quella lettera sarebbe stata diversa da tutte le altre:
finalmente, grazie a quel tema, aveva trovato il modo di fargli capire che
anche suo figlio ci sarebbe sempre stato sempre per lui, che suo figlio
comprendeva quanto fosse difficile il suo mestiere e che soprattutto suo figlio
era cresciuto nella consapevolezza di non essere stato abbandonato, ma al
contrario protetto, e che aveva un padre che lo amava così tanto da voler
difendere non solo lui, ma tutte le persone che gli stavano intorno.
Ricordava
ancora una promessa che gli aveva fatto. “ Ogni volta che avrai bisogno di me,
ti prometto che ti sarò vicino”. Fino a quel momento, non l’aveva mai infranta.
Ogni volta che aveva sentito il forte desiderio di averlo accanto, lui gli
aveva mandato una lettera. Era l’unica consolazione e l’unico modo di stabilire
un legame con lui, ma a Filippo bastava e non ricordava neanche un istante in
cui avesse dubitato della presenza di suo padre quando ne aveva sentito il
bisogno. Tuttavia, non era l’unico a sentire la necessità di averlo vicino:
tanti bambini avevano bisogno di lui, tanti altri soldati avevano bisogno di un
aiuto, tanti civili avevano bisogno di essere portati in salvo, tante vite
avevano bisogno di essere salvate. Era un lavoro difficile, quello del soldato,
uno dei mestieri di cui si parlava con rispetto e ammirazione, ma era al tempo
stesso uno dei lavori di cui non si sentiva parlare tutti i giorni. Avere un
padre nell’esercito era meno frequente di un padre dottore, dentista, fioraio,
oculista, impiegato, contadino, operaio e Filippo si vergognava ogni volta che
pensava a come sarebbe stata la sua vita se il suo fosse stato uno di quei
padri con un lavoro più “locale”, un padre che usciva al mattino e tornava per
pranzo, non dopo mesi interi, un padre che accompagnava il figlio a scuola ogni
giorno, che lo sgridava quando non faceva i compiti, che gioiva con lui quando prendeva
un buon voto. Un padre, insomma, con un lavoro che permettesse a suo figlio di
vederlo dopo al massimo qualche giorno e che permettesse soprattutto ad egli
stesso di guardar crescere suo figlio, di non perdersi neanche un istante della
sua vita.
Scriveva,
scriveva tutto ciò che avrebbe tanto voluto dirgli, ma all’improvviso di rese
conto di quanto fosse inutile far finta che lui un giorno potesse leggere
quelle sue righe. La risposta che aveva avuto intenzione di spedire non era
altro che un modo per ingannare se stesso. Si sentì uno sciocco ad essersi
illuso che nulla sarebbe cambiato, che suo padre presto sarebbe tornato. Si
impose di smetterla, di finire con quella sceneggiata. L’ultima lettera di suo
padre sarebbe stata l’ultima per sempre, quelle sue speranze e quelle sue
parole sarebbero state le ultime donate a suo figlio. Filippo realizzò solo in
quell’istante che stavolta suo padre era partito, ma non sarebbe più tornato.
Non gli avrebbe mai detto ti voglio bene,
non gli avrebbe mai confessato quanto fosse importante per lui, non lo avrebbe
mai riabbracciato. Cominciò a ripesare a tutta la sua vita, a tutte quelle
occasioni perse e a tutte quelle vissute al meglio; ripensò al suono della sua
voce, al calore dei suoi abbracci, alla bellezza della sua risata e
contemporaneamente a quella chiamata. Alla chiamata che aveva irrimediabilmente
sconvolto la sua vita. Era un lavoro difficile, quello del soldato, uno dei
mestieri di cui si parlava con rispetto e ammirazione, ma nessuno parlava mai
dei rischi, di come si potesse perdere la vita da un giorno all’altro, di come
l’esistenza di una famiglia venisse stravolta. Nessuno parlava mai di quelle
stelle che si erano spente per portare la pace, di quegli angeli che non
avevano rifiutato un aiuto a chi lo chiedeva, di quegli uomini che avevano
sacrificato tutto per gli altri. Lui, in quel tema, l’avrebbe fatto. Avrebbe
dedicato tanto spazio alla memoria di quegli eroi caduti in guerra e l’avrebbe
fatto pensando al suo di eroe. Inevitabilmente, una lacrima cadde sul foglio
bianco, mentre Filippo, tremando, rileggeva la conclusione della sua lettera. So che manterrai comunque la tua promessa da
lassù. Addio papà.
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