Translate

giovedì 27 dicembre 2012

Tombola!

L'avete riconosciuta, non è vero? E' la tombola. Un gioco natalizio che coinvolge grandi e piccini, divertente e le cui regole sono facili da ricordare. Sicuramente, tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo comprato una casella e abbiamo provato l'ebrezza di sentir pronunciato il numero che avevamo, abbiamo messo proprio lì sopra un segnalino ( o un semplice fagiolo! ) e abbiamo aspettato ansiosi di fare ambo, terna, quaterna, cinquina e perchè no, anche tombola! Quanto eravamo felici quando guadagnavamo un bel pò di monete, sotto lo sguardo invidioso degli altri partecipanti!
Insomma, un gioco davvero avvincente. Una volta. Due volte. Magari anche una terza partita. Ma poi? Poi vorresti gridare alle tue amiche che sarebbe anche ora di cambiare gioco! Diciamoci la verità: la tombola piace a chi è fortunato. Sceglie le caselle in base al proprio istinto, dichiara che quelli sono i suoi numeri fortunati, inizia a posizionare un fagiolo dopo l'altro e alla fine vorresti strozzarlo quando raccimola tutti i soldi in palio. E tu, povero sventurato che hai voluto sfidare la sorte, ti ritrovi a corto di monete, deriso, inferocito con la dea bendata e continuamente tormentato dal desiderio di rinchiudere la testa di quel tuo amico fortunato nel sacco dove si pescano i numeri! Altro che gioco, diventa un massacro. Tutti con gli occhi avidi, pronti all'attacco con i fagioli in mano, isterici se qualcuno osa disturbare, irritati con colui che pesca i numeri se non sono quelli giusti! Va bene, forse sto esagerando. La tombola è una tradizione, e io non posso ridurla ad un semplice gioco in cui conta solo il gruzzoletto finale. Che sarà mai perdere qualche centesimo! "La ruota della fortuna gira," dicono sempre per convincerti a rigiocare "magari questa è la tua partita!"
Chi è particolarmente sensibile finisca qui la sua lettura. Quelli arrabbiati sul serio con la tombola, continuino pure...
"Magari questa è la tua partita!". Come no. Te lo dice chi ha vinto tutti i tuoi soldi e vuole che continui a giocare per spremerti ancora per bene. Grazie, un bel gioco davvero.
Se tenti di sottrarti, sei fuori dal circolo sociale. Se ci riprovi, la tua sanità mentale è messa a dura prova. Perchè? Ok, iniziamo dall'inizio.
Sto trascorrendo una meravigliosa serata tra amiche. Una all'improvviso si alza e dichiara di voler giocare a tombola. Naturalmente, tutti d'accordo.
Già sento che qualcosa non va quando tutte posano sul tavolo le loro venti euro in spiccioli da dieci e da venti centesimi, mentre io in un angolino poso la mia cinquanta centesimi tutta intera, già cosciente che non la rivedrò mai più. La mia amica si offre di cambiarla in monete più piccole, io ringrazio, fingendo di non accorgermi dello sguardo "tanto sarà tutta mia!". Una volta distribuiti i fagioli, inizia la guerra.
- Chi vuole la cartella completa? Sono sessanta centesimi.-
Guardo la mia cinquanta ormai ridotta a brandelli di dieci centesimi e sospiro. Niente scelta.
Però dai, almeno posso scegliere il numero delle cartelle! Ne prendo due, tanto almeno un ambo riuscirò a farlo!
Il mio spirito si spegna alla terza partita, insieme al mio patrimonio. Mi guardo intorno: tutte che ridono e ricominciano a giocare con i soldi vinti. Io? Nemmeno il più misero, deplorevole, maledetto ambo.
La sconfitta definitiva? Quando ti guardano con pietà e puntano per te. E' troppo: mi alzo dal tavolo e sbuffo impaziente. Gioco divertente, come no. Un furto, ecco cos'è! Ma come ci siamo fatti convincere? Tanto meglio una giocata a carte! Almeno lì sei solo tu, il tuo esiguo gruzzolo, la tua testa, la tua mano, la fortuna che ogni tanto ti sorride e la tua intelligenza che ogni tanto costringe la fortuna a sorriderti!
Ho deciso: il prossimo Natale mi do per malata! Chissà, almeno riesco a salvare le mie tasche!

D'accordo, non posso infuriarmi con la tombola solo perchè non sono fortunata. Devo invece concentrarmi sullo spirito di comunità e di divertimento che la tombola offre! Come ho fatto a non pensarci prima?!? Ah già, perchè il divertimento sta nel derubare la gente sorridendole pure e lo spirito di comunità sta nell'essere complici della rapina al povero sfortunato!
Scherzi a parte, l'importante è divertirsi. Se siamo tanto attaccati al denaro, proviamo a giocarci senza soldi!
No, come non detto. E' una noia mortale non poter rubare agli altri!  XD

martedì 25 dicembre 2012

Buone Feste!

Tanti auguri anche dai Coldplay!

Buon Natale !

Ed eccoci qui.. anche quest'anno è già Natale, cantano in pubblicità. Anche quest'anno è arrivato il 25 dicembre... Auguriamo ai nostri lettori un meraviglioso Natale e che queste feste siano indimenticabili per voi e per le vostre famiglie.

BUON NATALE !

domenica 23 dicembre 2012

Si avvicina il Natale... il periodo in cui dovremmo riunire tutta la famiglia ed essere finalmente felici; ma per tante persone non è così semplice, per tante persone non è così scontato. Il brano che segue è dedicato a tutti coloro che vorrebbero con tutto il cuore abbracciare i propri cari e non possono farlo, perchè sono lontani da casa o lontani da questo mondo...

Filippo aveva atteso per tanto tempo l’arrivo di quella lettera e soprattutto aveva desiderato ardentemente di sentirsi vicino a suo padre, anche solo immaginando la sua mano muoversi sul foglio bianco. Gli mancava tanto, gli mancavano le chiacchierate fino a tarda notte, le vacanze al mare, i loro piccoli litigi, le lunghe riflessioni sulla vita che gli facevano guardare il mondo da una prospettiva particolare. Suo padre, in fin dei conti, aveva un motivo ben valido per non pensarla come la maggior parte delle persone: aveva visto la morte, la povertà, la sofferenza e ciò che realmente significava la parola guerra. Essere vicini alla fine di tutto aiuta a non sprecare l’unica possibilità di vivere che ci è stata offerta, era solito ripetere. La guerra è nemica dell’umanità, ma a Filippo sembrava che l’umanità stessa non potesse farne a meno: non riusciva mai a trascorrere più di un anno in compagnia di suo padre e ogni volta che sentiva squillare il suo cellulare, immaginava cosa sarebbe accaduto. Ricordava con tristezza quando, da bambino, continuava a pregarlo di non abbandonare lui e sua madre e di lasciare che fosse qualcun altro a partire per la guerra, e soprattutto ricordava quando suo padre, sorridendogli dolcemente, gli spiegava che il suo era un dovere verso lo Stato e che il suo lavoro avrebbe aiutato tanti bambini a riabbracciare i propri papà. Anche sua madre gli diceva spesso che doveva essere orgoglioso, contento di avere un eroe come padre, un eroe che portava un sorriso dove della felicità non vi era più traccia, un eroe che regalava una speranza a chi ormai non ne aveva alcuna, un eroe che combatteva per un mondo migliore, un mondo in cui la sua famiglia sarebbe stata contenta di vivere. Tuttavia, nonostante quelle parole così belle, l’aveva vista piangere tante volte, mentre abbracciava suo marito e mentre gli sussurrava che presto sarebbero stati di nuovo insieme. Non capiva allora cosa realmente significasse partire per la guerra, ma nemmeno ora, dopo tanti anni, riusciva a comprendere in pieno cosa significasse essere un soldato.
Filippo lesse tante volte l’ultima lettera di suo padre e osservò con attenzione tutto ciò che vi era scritto. Stava bene, o almeno così scriveva in quel messaggio. Sua madre aveva pianto di nuovo mentre la leggeva ed era sicuro che in quel momento lo stesse ancora facendo, chiusa nella sua cameretta. Non dormiva mai nella camera da letto  quando suo marito non c’era e Filippo aveva imparato ad associare il suo spostamento in quella stanza al ritorno di suo padre. Negli ultimi tempi, tuttavia, era rimasta chiusa a lungo, il letto perfettamente intatto, nell’oscurità più completa. L’umore di sua madre continuava a peggiorare  e ormai aveva preso l’abitudine di scrivere lettere a suo padre senza mai spedirle. Filippo capiva il suo bisogno di avere accanto suo marito ed era in effetti lo stesso che sentiva lui, ma aveva trascorso sedici anni a convincersi che fosse giusto così, che fosse inevitabile la partenza di suo padre e che non doveva abbattersi, ma crescere, imparare, sperimentare, osservare e comprendere per renderlo orgoglioso anche solo la metà di quanto lo fosse di lui.
“ Devo partire, ma sappi che ci sarò sempre per te ”. Era solito ripetere mentre si salutavano all’aeroporto militare e Filippo credeva ciecamente in quelle parole, ma era consapevole che anche lui aveva una piccola “missione” : condividere suo padre con il mondo, lasciare che portasse la pace e appoggiarlo nelle sue difficili scelte. Essere un soldato è una scelta coraggiosa, difendere il proprio Paese è un onore e un privilegio, era ciò che un rappresentante dello Stato continuava a ripetere alle truppe in partenza.
Era la frase con cui Filippo aveva deciso di iniziare il suo tema: La guerra e le sue conseguenze. Il destino aveva voluto che questo compito gli fosse stato assegnato proprio il giorno in cui aveva ricevuto la lettera da suo padre, perciò aveva deciso di ricambiare quelle sue splendide riflessioni con una risposta altrettanto elaborata e particolare. Aveva deciso di spedirgli proprio quel tema insieme alle poche righe che era solita scrivere sua madre. Non aveva mai sopportato la lontananza ma non voleva che quella situazione spiacevole per tutti pesasse ancora di più su suo marito, così scriveva semplicemente che tutti stavano bene e che attendevano il suo ritorno, che gli mancava tanto ma che comunque occupava il tempo dell’attesa del suo ritorno con una nuova attività. Fosse la lettura, la pittura, l’arte o la danza, Filippo era sicuro che sua madre non avrebbe mai riempito il vuoto che portava nel cuore perché per quanto si sforzasse di tenere la mente occupata nulla era paragonabile alla sensazione di stringere tra le braccia la persona che amava. Cercava di farle forza, ma lui stesso a volte aveva pregato a lungo per la fine della guerra. Non sapeva mai con certezza quanto questa sarebbe durata e a volte aspettava per mesi interi, invano, poi arrivava una chiamata che annunciava il suo ritorno e  tutta la tristezza, il dispiacere di quel tempo trascorso in sua attesa, il risentimento, tutto scompariva per lasciar posto alla felicità di averlo accanto, di vedere finalmente la famiglia riunita. L’importanza di quel lavoro sarebbe stato l’argomento principale del suo tema, insieme ala necessità di persone coraggiose che come suo padre si impegnavano ogni giorno per gli altri, per garantire al mondo intero la pace.
Filippo cominciò a scrivere tutto ciò che aveva sentito dire sull’esercito, prese spunto dalla maggior parte delle riflessioni presenti nella lettera e cercò di far comprendere a suo padre quanto fosse realmente orgoglioso di lui e quanto gli volesse bene. Probabilmente non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo di persona, ma la risposta a quella lettera sarebbe stata diversa da tutte le altre: finalmente, grazie a quel tema, aveva trovato il modo di fargli capire che anche suo figlio ci sarebbe sempre stato sempre per lui, che suo figlio comprendeva quanto fosse difficile il suo mestiere e che soprattutto suo figlio era cresciuto nella consapevolezza di non essere stato abbandonato, ma al contrario protetto, e che aveva un padre che lo amava così tanto da voler difendere non solo lui, ma tutte le persone che gli stavano intorno.
Ricordava ancora una promessa che gli aveva fatto. “ Ogni volta che avrai bisogno di me, ti prometto che ti sarò vicino”. Fino a quel momento, non l’aveva mai infranta. Ogni volta che aveva sentito il forte desiderio di averlo accanto, lui gli aveva mandato una lettera. Era l’unica consolazione e l’unico modo di stabilire un legame con lui, ma a Filippo bastava e non ricordava neanche un istante in cui avesse dubitato della presenza di suo padre quando ne aveva sentito il bisogno. Tuttavia, non era l’unico a sentire la necessità di averlo vicino: tanti bambini avevano bisogno di lui, tanti altri soldati avevano bisogno di un aiuto, tanti civili avevano bisogno di essere portati in salvo, tante vite avevano bisogno di essere salvate. Era un lavoro difficile, quello del soldato, uno dei mestieri di cui si parlava con rispetto e ammirazione, ma era al tempo stesso uno dei lavori di cui non si sentiva parlare tutti i giorni. Avere un padre nell’esercito era meno frequente di un padre dottore, dentista, fioraio, oculista, impiegato, contadino, operaio e Filippo si vergognava ogni volta che pensava a come sarebbe stata la sua vita se il suo fosse stato uno di quei padri con un lavoro più “locale”, un padre che usciva al mattino e tornava per pranzo, non dopo mesi interi, un padre che accompagnava il figlio a scuola ogni giorno, che lo sgridava quando non faceva i compiti, che gioiva con lui quando prendeva un buon voto. Un padre, insomma, con un lavoro che permettesse a suo figlio di vederlo dopo al massimo qualche giorno e che permettesse soprattutto ad egli stesso di guardar crescere suo figlio, di non perdersi neanche un istante della sua vita.
Scriveva, scriveva tutto ciò che avrebbe tanto voluto dirgli, ma all’improvviso di rese conto di quanto fosse inutile far finta che lui un giorno potesse leggere quelle sue righe. La risposta che aveva avuto intenzione di spedire non era altro che un modo per ingannare se stesso. Si sentì uno sciocco ad essersi illuso che nulla sarebbe cambiato, che suo padre presto sarebbe tornato. Si impose di smetterla, di finire con quella sceneggiata. L’ultima lettera di suo padre sarebbe stata l’ultima per sempre, quelle sue speranze e quelle sue parole sarebbero state le ultime donate a suo figlio. Filippo realizzò solo in quell’istante che stavolta suo padre era partito, ma non sarebbe più tornato. Non gli avrebbe mai detto ti voglio bene, non gli avrebbe mai confessato quanto fosse importante per lui, non lo avrebbe mai riabbracciato. Cominciò a ripesare a tutta la sua vita, a tutte quelle occasioni perse e a tutte quelle vissute al meglio; ripensò al suono della sua voce, al calore dei suoi abbracci, alla bellezza della sua risata e contemporaneamente a quella chiamata. Alla chiamata che aveva irrimediabilmente sconvolto la sua vita. Era un lavoro difficile, quello del soldato, uno dei mestieri di cui si parlava con rispetto e ammirazione, ma nessuno parlava mai dei rischi, di come si potesse perdere la vita da un giorno all’altro, di come l’esistenza di una famiglia venisse stravolta. Nessuno parlava mai di quelle stelle che si erano spente per portare la pace, di quegli angeli che non avevano rifiutato un aiuto a chi lo chiedeva, di quegli uomini che avevano sacrificato tutto per gli altri. Lui, in quel tema, l’avrebbe fatto. Avrebbe dedicato tanto spazio alla memoria di quegli eroi caduti in guerra e l’avrebbe fatto pensando al suo di eroe. Inevitabilmente, una lacrima cadde sul foglio bianco, mentre Filippo, tremando, rileggeva la conclusione della sua lettera. So che manterrai comunque la tua promessa da lassù. Addio papà.

Per sempre giovani: Le vacanze e gli inconvenienti

Non c'è niente di più bello dell'inizio delle tanto attese vacanze di natale. Direi che era pure ora...non ne potevo più.
Quell'adorabile sensazione di rilassamento, al calduccio nel proprio letto, quando i sogni vagano liberi nella tua mente, non pressati dal sorgere di un nuovo giorno, quando sembra che circoli nell'aria una dolce armonia, una dolce canzoncina che ti ricorda che è Natale, quando tutto tace eppure sembra di sentire voci di bambini intonare la canzone "White Christmas", quando il profumo della colazione invade le camera e sembra risvegliarti l'anima e il cuore, oltre che il palato... eh, sono cose da famiglia del "Mulino Bianco"...cose meravigliose, ma non di certo reali. Ora vi descrivo come sono realmente andati i fatti il mio primo giorno di vacanza. Prime ore del mattino, mente ancora proiettata nel mondo dei sogni, avvolta nel calore del mio letto, priva di qualsiasi capacità logico-razionale. 07:30, ho dimenticato di spegnere la sveglia, rumore assordante e fastidioso del vecchio rottame che mia madre ha accuratamente riposto sul comodino di fianco al mio letto, nella posizione strategica che lo colloca a direzione del mio orecchio, posizione infallibile per traumattizzarmi e buttarmi giù dal letto all'esatta ora. Altro che canzoncina di Natale! Comunque con un solo colpo metto fine a quel suono terribile. Finalmente posso tornare ai miei sogni, alla mia tranquillità, alla mia armonia...ancora per poco però. Ore 08:00 del mattino, mentre tutto là fuori tace, gli uccelini iniziano a volare liberi nel cielo, per quanto il freddo possa permetterlo, un altro rumore assordante invade la mia mente. Questa volta è il citofono. Chi potrà mai essere a quest'ora? e bè la risposta è semplice qualche ottantenne rompiscatole che si alza alle 4 del mattino ed è convinto che averci lasciato riposare fino alle otto è tardi. Riconosco che è lui, mio zio, in realtà è lo zio di mia madre, ma questo non cambia la drammatica realtà dei fatti, e cioè che sono solo le otto del mattino! Lui lo riconosci da subito, solo lui riesce a farsi riconoscere dal solo citofono; parte col suonare e dopo 3 minuti è ancora lì imperterrito, convinto che la forza che ha impresso non è abbastanza.Pensate che è tanto preso dal premere il pulsante del citofono che se qualcuno gli risponde non ci fa nemmeno caso! E così sei costretto a scendere giù al freddo a dirgli di salire perchè è aperto. Certo se sei fortunato e riesce a sentire la tua voce al citofono allora non c'è bisogno di scendere, in compenso però grida così forte che tutto il vicinato riesce a sentirlo. Pensate che io dal mio letto lo sentivo gridare nel tipico dialetto del nostro piccolo paese. Comunque, faccio finta di essere talmente stanca da non riuscire ad udire la sua "esile" voce, resto nel mio letto e cerco allo stesso tempo di mantenere la totale calma. Non riesco, vorrei riuscire a fare finta di non sapere della sua presenza, ma lui non parla normalmente, grida così forte che pur trovandomi al piano di sotto riesco ad ascoltare la sua voce come se stesse parlando a pochi millimetri dal mio orecchio. Sento tutta la discussione che ha con mia madre la quale gli chiede di parlare leggermente meno forte ricordando lui che c'è gente che dorme.  Lui inizia ad alzare la voce, pensate un pò, quel suo parlare "normalmente" ha la potenza di 10 uomini messi insieme, e lui riesce a fare molto di più!  Roba da matti gente! Pensate un pò, tra tutta la gente con la quale poteva parlare lui chiede proprio della mia persona. Mio fratello viene in camera chiedendomi di alzarmi perchè LUI vuole vedermi. Rassegnata, infastidita al punto giusto, mi alzo e sforzandomi di stampare un dolce ed innocente sorriso sulle labbra, mi reco da lui. Faccio la mia entrata, assonata, affamata, infastidita... il mio sguardo era la chiave della realtà e cioè la potente voglia di strozzarlo! Lui inizia a chiedermi se mi sembra la giusta ora di svegliarmi, io nella mia mente: -maledetto certo che non mi sembra l'ora di svegliarmi, non ne avevo la minima intenzione di svegliarmi a quest'ora barbara il mio primo giorno di vacanza, ma sai com'è qualcuno non ha niente da fare evidentemente.- Poi continua nel suo dialetto, che a stento riesco a comprendere, dicendomi che lui alla mia età andava a lavorare... e cose di questo genere. Avevo voglia di chiedergli se aveva intenzione di parlarmi dei suoi tempi per l'ennesima volta, quando per fortuna mia madre prepara il caffè e così riempio la mia bocca con quello. Eh, dovrò rassegnarmi, in questo periodo verrà spesso a casa. Pazienza, pazienza tanta pazienza, solo questo serve! Buonanotte a tutti!

venerdì 21 dicembre 2012

I Leanson: qualcosa di inaspettato!


« Non guardare indietro. »
Era un consiglio facile da dare, quando non si temeva ciò che si aveva alle spalle. Per coloro che erano avanzati sforzandosi di mettere un piede dopo l’altro,  la strada percorsa era un piccolo miracolo e qualcosa da dimenticare, ma al tempo stesso qualcosa da tenere ben presente. E di questo Nathalie era decisamente consapevole.
« No Martin, torniamo indietro! » gridò all’amico, mentre cercava di mantenere l’equilibrio.
Martin rise e le prese la mano, aiutandola a raggiungerlo.
Nathalie chiuse gli occhi, prima di lanciarsi tra le sue braccia. Non voleva cadere, non in quel momento. Avevano attraversato con difficoltà tutti gli scogli, prima di arrivare a quello oltre cui il mare non aveva più confini. Martin aveva esaudito il suo desiderio, ma Nathalie non si sentiva felice.
« Come torniamo indietro? » domandò con ansia, voltandosi a guardare la strada percorsa.
« A nuoto, se necessario. » rispose Martin allegramente.
La ragazza gli indirizzò un’occhiataccia, prima di scuotere la testa. No, non si sarebbe di certo tuffata in mare con quelle onde.
« Sempre così, quando arriva il vento da nord. » mormorò Martin, osservando l’immensa distesa d’acqua agitata.
« Andiamocene da qui, per favore. » esclamò la ragazza, cercando di allontanarsi.
« Non c’è niente di cui aver paura. » replicò il ragazzo, trattenendola.
Nathalie era combattuta: una parte di lei avrebbe voluto raggiungere la riva al più presto, correre in salvo e guardare da lontano; un’altra parte, invece, non desiderava altro che restare lì con Martin per sempre.
Alla fine, fu la parte più irrazionale a prevalere, lasciandosi cullare dalla brezza marina. Fissò a lungo Martin, senza una ragione; quando  lui se ne accorse, le sorrise con tristezza.
« È trascorso tanto tempo da quando abbiamo vissuto un’intera estate insieme. » commentò, spostando lo sguardo all’orizzonte.
« Già. » mormorò Nathalie, facendo altrettanto.
Rimasero in silenzio a lungo, contemplando interiormente qualcosa che sarebbe stato impossibile esprimere a parole. Poi, fu Martin a interrompere il silenzio.
« Sei cambiata. »
La ragazza rise, ma non riuscì a cogliere il senso di quella frase. Era cambiata? No, non le sembrava. Era sempre lei, Nathalie, con la sua eterna cotta per lui.
« Sei cambiata tantissimo. » ripeté Martin, più a sé stesso che a lei.
« Davvero? »
« Sì. La Nathalie che conoscevo non mi avrebbe mai chiesto di rinunciare ad una giornata con gli altri. Con i nostri amici. »
La ragazza lo fissò sbalordita: sì, in effetti glielo aveva chiesto, ma non capiva cosa fosse sbagliato in quel suo gesto. Non aveva avuto voglia di trascorrere del tempo con degli sconosciuti, ma con qualcuno che conosceva. Con qualcuno con cui sentiva di poter parlare, con qualcuno con cui non era costretta a misurare ogni parola.
« Quelli sono tuoi amici! » ribatté, voltandosi in modo che lui non potesse vedere l’amarezza dipinta sul suo volto. « Pensavo che avresti capito il perché te l’ho chiesto. »
« Sì. Perché non ti interessano. » esclamò con freddezza Martin.
Nathalie restò senza parole: come aveva fatto a fraintendere in quel modo le sue ragioni? Certo che le interessava stringere nuove amicizie, semplicemente non ne aveva voglia in quel momento. Non aveva mai pensato che solo Martin le potesse bastare. Anzi, in realtà lo aveva pensato; lo aveva pensato e aveva addirittura preso in considerazione l’idea.
Ma allora aveva ragione Martin? Era stata così superficiale con se stessa?
Sospirò, prima di replicare con calma.
« Voglio stringere amicizia con loro, ma io ho paura di non piacer … »
« No, Nathalie. » la interruppe. « Che ne è stato della bambina che era entusiasta di tutto? perché ora tutto ciò a cui riesci a pensare sono smalti, unghie, telefoni e abiti? Un tempo non ti interessava avere le scarpe per arrampicarti sugli scogli. Un tempo ti sarebbe bastato ciò che ti circondava per essere felice. Possibile che questi anni ti abbiano così cambiata? »
« Tu non mi conosci. Non puoi parlarmi così. » ribatté Nathalie, ormai prossima alle lacrime.
Questo pensava di lei? Una ragazzina viziata a cui interessava solo l’inutile? Non aspettò oltre. Si voltò e cominciò a saltare di scoglio in scoglio, ignorando ciò che si stava lasciando alle spalle.
Giurò a se stessa che non si sarebbe più voltata, che avrebbe raggiunto la spiaggia e che non avrebbe mai più pensato a quel litigio senza senso. La sua unica preoccupazione era allontanarsi il più presto possibile, anche se avrebbe significato prestare poca attenzione a dove metteva i piedi.
Eppure, venne meno al suo proposito. Si voltò. Si voltò quando lo sentì gridare parole incomprensibili, un attimo prima di cadere nel vuoto. Un attimo prima che il suo mondo fosse risucchiato nelle profondità degli abissi.

martedì 18 dicembre 2012

"Una vita senza esame non è degna di essere vissuta."
Socrate
 


 

domenica 16 dicembre 2012

Non sono solo parole ...

"Chi saprà mai veramente quanto più che ogni gesto possa turbar nel profondo una sola parola?"
Questa frase di Carlo Maria Franzero mi ha colpito molto. Se ci fermassimo a riflettere, in effetti, ci accorgeremmo che le parole sono l'arma più potente a nostra disposizione.
Una parola può emozionare, può far sorridere, può far divertire, ma una parola può anche ferire, può far soffrire, può far del male.
Le parole, prima di essere pronunciate, andrebbero pensate e ragionate non una volta, ma molte. Prima di definire qualcosa con una parola, dovremmo pensare alle conseguenze che provocheremmo.
Quanto è triste usare parole a caso, quanto è orrendo usare parole per ferire gli altri, quanto è ingiusto assegnare una parola cattiva a ciò che ci circonda.
Quando definiamo un qualcosa una schifezza, ad esempio. Prima di bollare così un lavoro, dovremmo chiederci che cosa rappresenta quel lavoro: fatica, volontà di migliorarsi, entusiasmo, pazienza... C'è un mondo dietro ogni cosa,così come c'è un significato dietro ogni parola.
Per questo, pensiamo a quali parole sarebbero giuste, prima di pronunciarle; già, perchè le parole sanno colpire nel profondo più di ogni altro.
Esiste però qualcosa che è capace di far male quanto le parole stesse: un voto.
Un voto è qualcosa che ti segna e che inevitabilmente ti mette in discussione. Qualcuno dovrebbe dirlo ai prof, ogni tanto. Dovremmo avvertirli delle conseguenze di un 2, di un 6, di un 9. Un voto non è nulla, ma fa tanto: se non si sa chiaramente chi si è, quali sono le proprie capacità, le proprie attitudini, le proprie passioni, un voto può confondere e farci cadere in un abisso dal quale è difficile venir fuori. L'abisso dell'incertezza.
A che cosa si riduce il mio essere persona? Ad un numero da 1 a 10? A che cosa si riduce il mio piccolo universo, ad un marchio senza senso? Una volta una prof mi ha detto che un voto serve a valutare i tratti di un percorso, non l'alunno quale persona; se prendo un 5 oggi, domani potrò prendere un 10 su un altro argomento.
Ecco, se qualche altro prof la pensasse allo stesso modo, il mondo sarebbe migliore. Perchè il mondo? Non è un'esagerazione. Il mondo sarebbe migliore perchè noi ragazzi siamo i cittadini del domani, e il nostro modo di pensare si forma proprio a scuola. La scuola è una vita in miniatura: ciò che ti insegnano non sono solo le nozioni delle varie materie, ti insegnano che esistono ingiustizie e amarezze da cui o impari a risollevarti o perdi la partita.
Prima di dire a qualcuno "sei da 5", meglio pensare bene a ciò che si sta per esclamare. Perchè nessuno ha il diritto di valutare la vita di un altro; non si può giudicare qualcosa che non si conosce.
E ai prof servirebbe una bella lezione, su quanto siano capaci di far scoppiare in noi una guerra interiore destinata a risolversi con l'annientarsi di tutte le nostre certezze.
Io non sono nè da 5 nè da 7 nè da 10 perchè nessuno può assegnarmi un voto, nessuno può riassumere ciò che sono con un numero. Perchè a volte ciò che mostriamo è lontano mille numeri da ciò che siamo realmente...
Impegnamoci dunque a non assegnare una parola o un voto a qualcuno alla leggera. Perchè in fondo la parola non è l'unica arma a nostra disposizione; c'è nè una altrettanto potente, anzi, forse anche di più.
Il pensiero.
La nostra capacità mentale per cui nulla è impossibile. L'unica parte di noi ad essere realmente libera...

venerdì 14 dicembre 2012

Tristezza e rabbia, binomio perfetto. Buonanotte a tutti i pensatori!

lunedì 10 dicembre 2012

domenica 9 dicembre 2012

Il segreto per vivere al meglio è rivolgere un sorriso lì dove invece avresti voluto versare una lacrima...

venerdì 7 dicembre 2012

Raccontami una storia...


Raccontami una storia.
Un invito accattivante, un desiderio disinteressato, un ordine così flebile, inutile quando non si è disposti ad ascoltare. Cos’è una storia? È un insieme di parole, con più o meno senso, in base a quanto si voglia stupire e coinvolgere chi ascolta. È un fiume in piena nel quale è impossibile bagnarsi nelle stesse acque, è una stella piccola piccola nel grande universo della nostra vera storia. Già, perché di storie ce ne sono tante quante i granelli di sabbia sulla riva del mare, tante quante le goccioline d’acqua che cadono durante un acquazzone, tante quante se ne possono immaginare.. e tanto diverse quanto i fiocchi di neve che cadono in una fredda giornata d’inverno.
Qualche storia è un po’ timida e bisogna scavare nel profondo per trovare il suo significato vero, perché le storie in fondo fanno anche questo, nascondono altre storie: meno evidenti, meno chiassose, meno vivaci, ma non per questo meno importanti.
Raccontare una storia è una grande responsabilità. Una storia può piacere, può annoiare, può illudere o emozionare. Perché? Perché ogni storia attira dentro di noi una storia simile. A volte capita di conoscere già una storia, o di trovarla quasi identica ad un’altra. Il punto è proprio questo: quasi. Nessuna storia è propriamente uguale ad un’altra e al tempo stesso nessuna storia ci è totalmente sconosciuta perché qualcosa di simile è dentro di noi.
Una storia deve essere raccontata per esistere. Ed una volta che ciò avviene, vivrà per sempre.
Alcune cose non muoiono mai: i ricordi, ad esempio. Crediamo di poterli cancellare, di poterli mettere da parte, di distruggerli, ma non è così. Ogni ricordo fa parte di noi, e non possiamo distruggere ciò che siamo. Ogni ricordo va accettato, spolverato e riposto nella grande biblioteca della nostra memoria, per essere a tempo debito ripreso e vissuto nuovamente. Anche i ricordi sono piccole storie della quotidianità, di ciò che siamo stati.
I sogni invece? I sogni sono storie di ciò che vorremmo essere, di ciò che saremo. Anche i sogni non possono essere cancellati. Anche i sogni fanno parte di noi, come noi facciamo parte di una storia. La storia della nostra esistenza.

giovedì 6 dicembre 2012

Per sempre giovani: Il più grande spettacolo dopo il big bang...siamo noi.

Dopo giorni di assenza, eccomi di nuovo qui. La stanchezza in questo tempo è la mia migliore amica; le vacanze di Natale stanno arrivando, già si sente l'aria di cambiamento, certo, è pur vero che la scuola in attesa del loro arrivo, non mancherà nell'essere esigente, anzi...
Sono davvero stanca ragazzi, e ritrovarmi qui a scrivere dopo un lungo periodo di pausa mi rende davvero molto felice. Svuotare il mio essere che in questi giorni si è caricato di emozioni, sensazioni, preoccupazioni ed ansie, mi restituisce un pò di quella tranquillità smarrita ormai da tempo.
Mi scuso in anticipo per i miei discorsi ripetitivi ed a volte tanto tristi, ma ho bisogno di esprimermi e liberarmi da quei pensieri che mi turbano durante il sonno. Certo si sa, noi adolescenti siamo un arcobaleno di emozioni, pensieri, idee... riusciamo a cambiare i nostri stati d'animo come avessimo in mano un telecomando e all'ordine cambiassimo da canale a canale. Oggi siamo tristi, ieri eravamo felici, chissà, magari domani saremo delusi... è inutile tormentarci, siamo fatti così, è la fase di crescita che ci tocca attraversare, d'altra parte noi non siamo nè i primi nè gli ultimi.
Rifletto, rifletto ed ancora rifletto. Chissà quando la smetterò di farmi del male. Osservare, capire ed apprendere, per la precisione è questo ciò che facciamo alla nostra età, e a dirla tutta, sono convinta di star apprendendo qualcosa di negativo dal mondo che mi circonda. La scuola è lo specchio della società, ci trovi gente di tutti i tipi, ed è qui che inizia il confronto con altre realtà, è qui che inizia il processo di osservazione- comprensione. Sono delusa, triste. Ciò che imparo giorno per giorno dai miei compagni, e purtroppo anche dai miei insegnanti, è che la buona morale, i buoni valori, non ti portano da alcuna parte. Sembra un mondo al contario, la brava gente viene derisa perchè sta realmente producendo qualcosa di buono per gli altri, mentre elogiato chi trova il modo per arrivare al traguardo senza affanno e con l'inganno, interessandosi solamente di sè stesso. Non esiste più il bene comune, ma solo il  bene individuale. Nella mia classe è in atto una vera e propria guerra. Siamo ormai giunti al terzo anno, si lotta per riuscire ad avere crediti, e per fare il viaggio che la scuola offre agli studenti meritevoli. Ora, dal momento in cui il gioco è leale, e tutti hanno a disposizione solo e soltanto le proprie capacità e l'ambizione, la voglia di fare, io partecipo con gusto; il problema è che questo gioco pian piano si trasforma in una vera e propria lotta al massacro, e non ho voglia di partecipare per quanto poi, in realtà, sia costretta. Non ho voglia di perdere una partita quando so di non poterla affrontare. Se mi dicessero, non hai ottenuto votazioni alte perchè non ti sei impegnata abbastanza, allora potrei accettarlo, ma non ho voglia di sentirmi dire da chi invece di parlare a volte dovrebbe stare un pò ad ascoltare, non sei riuscita ad essere abbastanza scaltra. Non so se rendo il concetto. Ora, detto francamente, il viaggio, il voto alto, le grazie dei professori, no, non rientrano nei miei prossimi obiettivi, la questione è che questo è il punto di partenza di un qualcosa che va oltre i confini scolastici. Quei ragazzi che ci accompagnano durante le 5 ore di scuola, saranno, insieme a noi, i futuri cittadini. Bene, detto ciò, è davvero un bel guaio! Ci lamentiamo dello schifo che è oggi la politica, con i suoi massimi esponenti che più "massimi" non si può, quando in realtà lo schifo parte proprio dalla nostra piccola quotidianità. Come pretendiamo che altri guidino il Paese con la giusta responsabilità, quando in realtà non siamo in grado di cambiare piccole realtà? Punto enorme di domanda. I sofisti erano detti " prostituti della cultura", questi si facevano pagare da chi voleva apprendere da loro l'arte dell'eloquenza, della retorica, con la quale confutare le tesi dell'avversario, a qualsiasi costo. A me sembra quasi che la scuola si sia ridotta a questo. Trasmette antichi saperi, la cultura, ed insegna l'arte della retorica, che diventa per noi alunni lo strumento grazie al quale non facciamo che massacrarci a vicenda. In questo massacro certo, non sono esclusi gli insegnanti, i quali vengono coinvolti come principali protagonisti di una storia che prevede un finale ricco di "liste nere". Sopravvisuti e sopravviventi dice qualcuno, in fondo è di questo che stiamo parlando. C'è gente che riesce a procurarmi sempre il voltastomaco, hanno facce da vomito, pronti a pestarti all'occorrenza, certo se il caso lo richiede, altrimenti sono i tuoi più grandi amici. Provo oltre che disgusto totale, compassione per questa gente, che evidentemente è pronto a fermarsi all'apparenza.
Spesso ciò che di più bello abbiamo, finisce per scoprirsi per quello che è nelle realtà, e solo allora ti accorgi dello schifo. Spero solo che il mio cielo e le mie stelle, almeno quelle siano vere, che non finiscano per rivelarsi una stupida illusione, perchè è l'unico spettacolo che in positivo riesce a farmi restare a bocca aperta.... di negativi purtroppo ce ne sono fin troppi.