Si vedeva il mare dalla
stanza di Nathalie e Josy. Un’immensa distesa cristallina, senza confini, dove
gabbiani dalle ali bianche volteggiavano nel cielo sereno, lanciandosi in
picchiata quando le loro piccole ignare prede salivano in superficie. Matt
poteva sentirli garrire anche da lì, mentre esultavano e si godevano la libertà,
lieti dell’estate e della sua quiete.
Quiete che lui, invece,
non riusciva a provare. Un’immagine continuava ad affiorare nella sua mente, il
viso di Lili e i suoi occhi chiusi. Ora capiva il perché di ogni suo
atteggiamento e capiva quanto era stato superficiale e incosciente. Giudicarla
era stato il suo peggior errore: non la conosceva, non sapeva nulla di lei. Ed
ora che sapeva, avrebbe tanto voluto non aver chiesto nulla a Martin.
Era cieca. Per quanto si
sforzasse, non riusciva a immaginare neanche lontanamente come potesse sentirsi
e come lui, invece, avrebbe potuto liberarsi da quell’onnipresente senso di
colpa. Forse perché ne aveva sentito parlare solo nei film, forse perché non aveva
mai incontrato nessuno come lei, o forse perché far finta di non aver pensato
male di lei ingiustamente era più comodo, qualunque strada mentale imboccasse
lo faceva stare male. Doveva scusarsi? E di che cosa? In fondo avrebbe potuto
anche spiegargli la situazione con gentilezza. In effetti, lui avrebbe anche
potuto capirlo da solo. No, non era stata colpa sua. Non era stata neanche
colpa di Lili, però. Cosa poteva fare? Anzi, doveva fare qualcosa?
Domande, domande e ancora
domande, senza mai risposte certe. Appena ne dava una, altri dubbi chiedevano
di essere chiariti e in poco tempo demolivano quel bagliore di certezza mentale
che era apparso poco prima.
« Matt. »
La voce di suo padre era
indecisa; eppure era un’ancora di salvezza così perfetta in quel mare di dubbi.
« Come ci si comporta di
fronte a qualcosa che ti spaventa? »
Marshall si sedette
vicino a lui e si soffermò a guardare fuori dalla finestra, prima di
sorridergli con tranquillità.
« Perché ti spaventa
questo qualcosa, innanzitutto? »
« Mi spaventa e basta. » affermò istintivamente, senza pensarci.
Che bisogno c’era di
trovare una motivazione? Per un attimo si pentì di aver iniziato quella
conversazione. Parlare delle proprie sensazioni a qualcuno era difficile,
spiegare il motivo per cui si provavano lo era ancora di più: suo padre non
condivideva il suo punto di vista, non sapeva che cosa lo tormentasse così
tanto e perciò non poteva capire. Peccato che fosse giunto a questa conclusione
troppo tardi.
« A volte la paura è
qualcosa di irrazionale. Se solo cercassimo di comprendere il perché, forse non
avremmo lo stesso atteggiamento nei suoi confronti. »
Marshall era fatto così:
grandi riflessioni per qualcosa di importante. Però Matt non aveva bisogno di
parole. Anzi, non sapeva neanche lui di cosa aveva bisogno.
Ringraziò comunque suo
padre, ma sperò che lo lasciasse solo al più presto.
« Ti è successo qualcosa?
» domandò preoccupato, cercando di
incontrare lo sguardo di suo figlio.
« Niente. » mentì lui, sporgendosi dalla finestra il modo da
evitarlo.
« Non vuoi parlarmene? »
Scosse la testa
impercettibilmente, ma Marshall capì lo stesso. Gli diede una pacca sulla
spalla e uscì dalla stanza.
« Fai un giro in
spiaggia, ti farà bene. » gridò,
quando ormai stava già scendendo le scale.
Forse non era una cattiva
idea, pensò Matt. Ormai conosceva a memoria la strada per la piccola spiaggia e
aveva proprio voglia di fare il bagno in quelle acque magnifiche. L’avrebbero
aiutato a non pensare, e lui ne aveva un disperato bisogno. Scese anche lui al
piano di sotto e prese il costume dalla borsa. Josy e Nathalie stavano giocando
con Dan, mentre sua madre sistemava le ultime cose nella dispensa. Nessuno si
accorse di lui quando sgattaiolò fuori e sperò che nessuno lo seguisse.
Raggiungere la spiaggia fu facilissimo: la sabbia era bianchissima, l’acqua
così pulita da sembrare un leggero manto trasparente che ricopriva il fondo. Si
tolse la maglietta e cominciò ad avvicinarsi a quell’immensità cristallina.
Rabbrividì, quando raggiunse la riva. L’acqua era freschissima e così
invitante; procedette lentamente, per godersi a pieno quella meravigliosa
sensazione, e non si fermò fino a quando non sentì più la sabbia sotto si sé.
Nuotare lo faceva sentire così libero, quasi come una creatura stessa dell’oceano,
e non gli dispiaceva affatto lasciarsi guidare dall’istinto e dalle sue
emozioni. Avere un cervello capace di pensare a volte era un fardello così
pesante da portare e dimenticarsi per un po’ di quella responsabilità non era
per niente male.
Si abbandonò
completamente al dolcissimo movimento delle onde e non resistette alla
tentazione di immergersi completamente. Sott’acqua, il mondo era completamente
diverso: ogni suono, ogni rumore, ogni più impercettibile movimento era
trasformato in una lenta melodia, in qualcosa che giungeva a lui così attutito,
così tenue; risalì solo quando sentì di non riuscire a trattenersi oltre.
Respirò a fondo, mentre
tornava a riva. Era stato fantastico, ma era così stanco che si lasciò cadere
sulla spiaggia, non appena raggiunse la terraferma.
Solo quando si fu
calmato, si accorse di non essere solo. Era lì accanto a lui, da chissà quanto
tempo, e non l’aveva notata. Guardava l’orizzonte, ma immaginò che per lei fosse
solo oscurità.
Un’orrenda sensazione lo
invase e per un attimo desiderò fuggire lontano, scappare da lei che lo
spaventava così tanto, rifugiarsi di nuovo nel nulla delle acque e non dover
mai più trovarsi accanto a lei. Quasi sperò che non si fosse accorta di lui, ma
fu con naturalezza che lei si voltò nella sua direzione.
« Alla fine l’hai
trovata, la strada. »
Sentire quella voce lo
lasciò senza parole. Perché gli faceva quell’effetto?
« Sì… » mormorò, incapace di guardarla.
« Te l’hanno detto. »
Non era una domanda. Matt
si chiese come avesse fatto a capirlo, ma forse non gli interessava neanche.
Forse ciò che gli interessava davvero era trovare il modo per scusarsi con lei.
« Non mi hai parlato così
l’ultima volta. » esclamò Lili,
sedendosi accanto a lui.
Confuso e meravigliato,
Matt si allontanò istintivamente, senza capire il perché del suo stesso
irrazionale gesto.
« Non devi avere paura di
me. » disse lei con tranquillità,
porgendogli la maglietta che aveva tolto prima di entrare in acqua.
« Sei davvero…? Cioè … » balbettò Matt, nel tentativo di dirle qualcosa.
Lili ridacchiò e annuì,
mentre lui la fissava sconvolto.
« Ma come fai a … ? Sei
arrivata fino a qui. »
« Gli occhi non sono
l’unico modo per vedere, sai? »
affermò con tranquillità, sorridendogli. «
Scusami se sono stata un po’ scontrosa con te. »
« Dispiace anche a me,
per come ti ho trattata. » riuscì
finalmente a dire il ragazzo, stringendole la mano.
Quel contatto fece
battere forte il suo cuore: non sapeva perché, ma sentiva di aver fatto
qualcosa di speciale. Era come se la parte razionale e quella irrazionale di
lui si fosse conciliate in quel gesto, come se avesse finalmente accettato la
sua paura e avesse imparato da lei. Forse suo padre aveva ragione. Ora capiva
da dove era nato tutto quel timore: dalla non conoscenza. Conoscere Lili era
ciò che doveva fare, per superare quel suo blocco.
« Vieni spesso qui? »
« Sì. Mi piace il mare. »
Affondò le mani nella
sabbia e ne prese un pugno, poi lasciò che il vento la spingesse lontano. Matt
la guardava estasiato, incapace di capire perché l’attirasse così tanto, e Lili
sembrava essersi accorta della sua incertezza.
« Posso stare qui con te?
»
La richiesta di Lili
arrivò così inaspettata per Matt. Sapeva che avrebbe dovuto lasciar stare, che
avrebbe potuto alzarsi e andarsene, dirle che non aveva nessuna intenzione di
stare con lei, ma non poté fare a meno di dirle di sì.
Doveva conoscerla. Anzi, lo
desiderava davvero, al contrario di quanto continuava a ripetersi. Desiderava
conoscere il suo modo di vivere, le sue passioni, le cose che le piacevano. Un
desiderio inspiegabile, ma che aveva tutta l’intenzione di assecondare.
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