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sabato 23 febbraio 2013


La vita è un continuo oscillare tra ragione e sentimento, logica ed emozione. La vita è meravigliosa, ma maledettamente difficile. Ti rendi conto di avere un cervello, un corpo, un cuore e un’esistenza e di dovere a ciascuno di loro qualcosa.
Cosa, è un dannato mistero.
A volte sembra così facile: alzarsi, mangiare, vestirsi, uscire, andare a scuola, mangiare, compiti, tv, mangiare, andare a dormire. È un continuo susseguirsi, un ciclo infinito che compiamo meccanicamente dalla nascita sino alla morte.
Ma ci siamo mai chiesti quale sia il vero significato della nostra esistenza? Davvero ci basta quella catena di azioni per sentirci vivi? La vita è altro. E necessariamente quell’altro è bene e male.
Male, vivere è male quando la vita ti fa soffrire.
Ti fa soffrire quando, nel bel mezzo nella notte, ti svegli singhiozzando chiedendoti in che cosa tu stia sbagliando. Ti fa soffrire quando, tra i tuoi compagni, sfuggi al loro sguardo perché ti senti solo. Ti fa soffrire quando ti rendi conto che ciò che ti circonda non ti appartiene mai totalmente. Ti fa soffrire quando infrange i tuoi sogni, quando li scaraventa al suolo e li distrugge, fin quando non rimane solo un orribile buco nero, che risucchia tutto ciò che di buono esiste nell’anima di un individuo. Ti fa soffrire quando ami così tanto una persona da non poter neanche solo farle capire quanto per te sia importante, quanto sia importante anche solo tenerle la mano, ridere con lei, guardarla e sorriderle. Perché è sbagliato. Perché non puoi farlo, perché ti distruggerebbe sapere che quella persona non prova ciò che tu stai provando, che non puoi correre il rischio di perdere il sole del tuo universo. Ti fa soffrire quando, in un’amica, non trovi conforto e sollievo, ma solo un’altra sconfitta, perché non riesci a imprimere nella tua testa che non devi più fidarti.
Ti fa soffrire quando ti senti uno schifo, quando non puoi fare a meno di puntarti il dito contro e urlare quanto sia stupida a ricadere sempre negli stessi errori. La fiducia, la fiducia si conquista: eppure non riesci ad aprire gli occhi, a dire per una maledetta volta un ‘no’. Ti senti uno schifo perché sai di stare per commettere il medesimo sbaglio, ma non ti fermi. Continui a infilarti quel pugnare nel cuore sperando che il dolore ti renda sordo a tutto il resto, ma quel resto non scompare. La ferita non guarisce mai completamente, e tu ogni volta ti ritrovi a riaprirla e a lasciar scorrere il sangue in attesa che ti purifichi e che cancelli ciò che stai facendo. Ma non è così. Non basta.
Non basta far finta che tutto vada bene, stamparsi un sorriso idiota sul volto e affrontare gli altri. Stai fuggendo, fuggendo da te stessa e da ciò che realmente sei, perché temi di scoprire qualcosa che non ti piacerà. Ebbene, non si può fuggire in eterno. Prima o poi qualcosa accade, e si perviene al punto limite.
Ti scopri capace di azioni e pensieri che non ti avrebbero nemmeno sfiorato e ti ritrovi a sopprimere quella parte di te che ti chiede di non rinunciare alla vita. Ti rendi conto di sapere cosa sia la vendetta, l’odio, il ribrezzo. Scopri che provarlo è molto facile, quasi necessario.
Poi, scopri che è sbagliato. Così, distruggi ogni minima parte del tuo essere perché sei consapevole di essere diventato qualcosa di ben diverso da ciò che eri. Nel momento in cui il risentimento entra nel tuo animo, non c’è spazio per nient’altro...
Bene, perché vivi nel momento in cui senti qualcosa dentro di te, qualcosa che ti fa ridere, ti fa stare bene. Vivi nel momento in cui scopri che tutto ciò che accade intorno a te ti segna profondamente. Vivi nel momento in cui leggi la vita negli occhi di chi ti sta intorno.
Vivere è una conseguenza della consapevolezza di possedere un’esistenza, e per esistenza non possiamo non intendere quell’insieme di corpo, cervello, cuore e anima che ci rende individui.
Ma la vita è anche E soprattutto bene. Per le cose meravigliose, per le cose belle, per le cose che amiamo...per questo dobbiamo vivere.
                                                                                          Io per te ci sarò sempre.

lunedì 4 febbraio 2013

Amore... o no!

Siamo a febbraio. Per alcuni il mese più corto dell'anno, per altri quello di Carnevale, per gli ottimisti un mese in meno alle vacanze estive, per molti inguaribili romantici il mese dell'amore. Il 14 sarà San Valentino. Il 14 giusto?
Avrete già capito che non festeggio San Valentino. Avrete già capito che inizio 10 giorni prima a criticare le coppiette perdutamente innamorate. Ah, se non l'avevate capito prima, ora lo sapete: dolci fidanzatini/e se avete già una dolce metà smettete di leggere questo post, perchè vi farà dubitare dei vostri sentimenti e vi farà probabilmente cambiare idea sull'amore
Per i single, per coloro che soffrono la mancanza di una persona al proprio fianco, per gli arrabbiati con l'altro sesso, prego seguitemi pure.
Stamattina mi sveglio presto e rimango nel letto a pensare. Avrei potuto ripetere qualcosa, contemplare la giornata, maledire qualche professore, ingiuriare contro qualche compagno, invece mi ritrovo a pensare all'amore.
Che cosa carina, non credete? L'amore. Suona pure bene come parola, così dolce, così delicata. Quante e quante volte abbiamo sentito parlare dell'amore! Il principe azzurro, il vampiro oscuro che poi è buono e guardacaso sceglie la ragazza più anonima del mondo, l'angelo cattivo che in realtà è dalla parte del bene che si innamora di una normale ragazzina dai normali capelli normalmente castani. Non so a voi, ma io sto vomitando.
Cose da film, da romanzo, da favola! Nella vita reale non trovi manco un ragazzo che ti saluti, figurati se poi deve fare la corte proprio a te anonima ragazzina. Ora, non me la prendo con le ragazze: non è colpa nostra. Non è neanche colpa dei ragazzi, affatto. La colpa è di chi diffonde quegli irrangiungibili modelli dell'amore, stereotipi così scontati che ci danno solo false illusioni.
Perchè stavo pensando all'amore stamattina? Perchè ho visto un certo film chiamato Titanic. L'adoro, non fraintendetemi, ma mi ha tormentato tutta la notte. Perchè io non trovo un bel ragazzo che mi adori e che si innamori di me? A me basta anche un bel ragazzo che si innamori. O un bel ragazzo. Ma pure solo un ragazzo mi va bene.
Il guaio è che non ce ne sono neanche a pagarli.
Dove sono finiti i gentiluomini che lanciano il sasso contro la finestra per farti affacciare? Quelli che ti salutano e ti dicono che sei il centro del loro mondo? Quelli che comunicano con dei bigliettini di carta sdolcinati, lanciati dall'ultimo banco, di cui non si conosce il mittente?
Altri tempi. Altri tempi quelli degli ammiratori segreti, del ragazzo che ti notava e ti faceva sentire amata...
Oggi, o meglio nella realtà, niente è così bello: vi racconto la mia esperienza? Giusto una banale, per non scoppiare a piangere dalla disperazione.
Qualche giorno fa ero in palestra. Parlavo con le mie amiche e avevo notato un tizio che guardava nella mia direzione.
Che carino, no? Che gesto romantico, guardarti per attirare la tua attenzione.
In mano aveva un bigliettino.
Penso: chissà che cosa mi avrà scritto.
Mentre mi volto in un'altra direzione fingendo di non averlo notato, mi sento arrivare una pallina di carta in testa.
Che dolore! Va bene, trattenendo la voglia di strozzarlo, mi avvicino, lo prendo in mano e cerco di capire cos'è. Una carta di bottiglia. E capisco tutto.
Stupido idiota! Altro che romantico. I ragazzi sono ormai andati fuori di testa. Qualcuno insegni loro un pò di romanticismo e di galanteria.
Sappiamo quanto ne abbiano disperatamente bisogno...

venerdì 1 febbraio 2013

Il campo dei Girasoli

"Il Campo dei Girasoli" è una nuova lettura che vi proponiamo, e che ha lo scopo di descrivere lo "strano mondo" in cui ogni adolescente vive, fatto di proprie credenze, passioni, convinzioni e scelte.
Speriamo solo di incuriosirvi con il nostro narrare...


“Pensa un solo istante, nulla è mai stato abbastanza per te. Io non so per quale ragione ti stai addormentando in illusioni.” Pensava e ripensava continuamente a quella frase, certo erano solo parole, ma chi lo sa cosa, più di un misero accumulo di lettere, possa provocare ferite immense. Anche se continuava a mentire a sé stessa, in realtà nel profondo custodiva l’unica verità.
Continuava a mentirsi, sperava sarebbe riuscita a soffrire meno, o quantomeno a soffrire a tal punto da convincersi di comportarsi con indifferenza. Aveva ormai perso la sua ben definita personalità, e iniziava a credere di non avercela mai avuta. I dubbi, le persuasioni, le sbagliate convinzioni, gli errori, i sogni e le speranze e infine le passioni. Tutto stava lentamente trascinandola in un baratro. Aveva ormai 16 anni ed iniziava ad affacciarsi al mondo reale, sentendone la fredda distanza che ancora li separava.
-          Non sporgerti troppo o finirai per cadere- aveva sorriso dolcemente suo padre afferrandola per un braccio e tirandola a sé per stringerla fra le sue braccia forzute. – Lo dicevo che era un posto meraviglioso, ed ero ugualmente convinto che te ne saresti innamorata a prima vista.-
Quello spettacolare scenario che stava offrendo l’occhio del cielo, che quel giorno sembrava voler brillare più intensamente, sembrava volerla proteggere e avvolgere nel suo tepore per non farla sentire sola per l’ennesima volta.
Si era da sempre chiesta il perché del suo nome, per 16 anni aveva dovuto sopportarne il peso, il peso di un nome che certamente doveva nascondere un significato, un significato ben preciso che andava oltre la semplice spiegazione “ è un nome come un altro”. Soledad significava solitudine e adesso più che mai aveva bisogno di scoprire quale storia si celava dietro quel nome che sedici anni addietro le era stato attribuito in un freddo giorno d’autunno. Si fermava spesso a riflettere sul significato del proprio nome, lo vedeva come un marchio che la distingueva dalla comune massa fatta di innumerevoli Francesco e Maria. Si sentiva diversa, segnata da una scelta che non doveva essere stata casuale, e che nel tempo riusciva a logorarla sempre più, fino a consumare la sua immagine di giovane piena di vita, trasformandola in un’insaziabile ricercatrice di tutti i perché. Non aveva mai avuto il coraggio di chiedere ai suoi una spiegazione logica; aveva paura, paura di sentirsi raccontare spiacevoli segmenti di vita, paura di ottenere dure risposte. Eppure quel nome così triste era scritto nel suo cuore e ne indicava l’immagine di una ragazza che ormai aveva perso ogni conoscenza di sé. La crescita l’aveva trasformata, l’immagine che lo specchio rifletteva ne faceva una ragazza dai lunghi capelli color castano chiaro, capelli che solitamente portava raccolti in una lunga treccia che cadeva delicatamente sulla spalla, sfiorandone il collo ed il petto. Occhi che avevano uno splendido taglio orientale, di un leggero colore che oscillava tra il castano chiaro e il verde, e che li rendeva vivi di una luce splendida. Ma quell’immagine riflessa allo specchio, non era altro che l’involucro conservatosi nel tempo che portava ancora i tratti di quella bambina che era ormai diventa una donna, e che aveva lo scopo di fungere da maschera per quell’anima repressa che non trovava porta d’uscita nel mondo al quale si era appena affacciata. “ Nella mia vita non ci sono più uscite” era solita ripetersi. Si sentiva bloccata dalla sua stessa immagine e da quel nome, solitudine.
Aveva voluto ascoltare suo padre e fidandosi di lui, aveva deciso di recarsi insieme nel famoso “posto magico” tanto decantatole. Alla vista di quel tramonto era rimasta immobile, come pietrificata da tanta bellezza; la natura e l’assenza di elementi antropomorfici, la gettavano in uno stato di grazia, di completa tranquillità, ricordandole che c’era ancora posto in quel piccolo pezzo di mondo per tutto ciò che la Società aveva reputato superfluo. Intanto suo padre aveva ricevuto un’importante telefonata, e aveva dovuto allontanarsi temporaneamente, lasciandola sola, immersa nei più profondi pensieri, tra tanta bellezza e serenità. Aveva preso a chiudere delicatamente le palpebre dei suoi occhi, per lasciare libero il pensiero e l’immaginazione, e aveva preso a riflettere così intensamente, che alla fine si era completamente abbandonata alla bellezza di quegli attimi, tanto da addormentarsi, coccolata dal suo stesso pensare...