« Io non ci vengo con voi. » ribatté imbronciata la piccola Josy, incrociando le braccia, decisa a far valere la sua scelta.
Stava in piedi davanti alla porta di casa Leanson, cercando di ignorare le sue valigie già pronte. In una gabbietta ai suoi piedi, sentiva il piccolo Impi, il suo porcellino d’India, muoversi in continuazione, probabilmente infastidito e irritato per essere stato rinchiuso in uno spazio così angusto.
« No no no NO! »
I suoi capricci divennero urla disperate quando Matt, il più grande dei ragazzi Leanson, prese le sue cose e le sistemò in macchina.
Perché dovevano trascorrere l’estate in quella stupida isola? Era da cinque anni che non ci andavano e lei non aveva nessuna voglia di abbandonare le sue amichette e i loro appuntamenti con le bambole.
« Voglio restare qui! » gridò in lacrime, avvinghiandosi al braccio di suo fratello mentre tentava di sistemare Impi davanti al suo sedile.
« Josy basta! » ribatté Matt, stanco degli inutili capricci di sua sorella.
Non c’era nella da fare, lo sapeva bene. Non avrebbe smesso di piangere finché non avrebbe ottenuto ciò che voleva, così lanciò un’occhiata disperata ai suoi genitori.
Petunia e Marshall Leanson avevano progettato ogni giorno di quell’estate da due anni, quando ormai avevano cominciato a sentire la mancanza dell’isola e dei ricordi ad essa legati. Ci erano andati sin da quando si erano appena sposati e, solo quando Matt aveva compiuto tredici anni e aveva chiesto loro di abbandonare l’idea della solita vacanza all’isola per qualche settimana più eccitante in città, l’avevano accontentato interrompendo la tradizione. Adesso che Matt ne aveva diciotto di anni, l’avevano convinto a trascorrere quella che sarebbe stata probabilmente l’ultima estate tutti insieme. Già, perché lui avrebbe dovuto affrontare l’ultimo anno di liceo e andare all’università. Prima o poi si cresce, gli diceva sempre sua nonna le rare volte in cui le faceva visita, anche se Matt si limitava ad alzare le spalle e annuire. Chi aveva voglia di crescere, e anche in fretta, era la secondogenita Leanson: Nathalie detestava ammettere di avere solo quindici anni. Sedici il 10 agosto diceva ogni volta che chiedevano la sua età. Sedici le sembrava un buon numero: abbastanza grande per avere grandi progetti e sogni, troppo piccola per avere grosse responsabilità. Ogni volta che Matt ricordava a sua sorella che il giorno del suo compleanno, per lei così importante, avrebbe dovuto trascorrerlo in una desolata isola con nient’altro che la sua famiglia intorno, lo sguardo di Nathalie si incupiva e le scompariva il sorriso dalle labbra. Decisamente avrebbe preferito essere circondata dalle sue amiche e divertirsi in un pub, piuttosto che in uno sperduto angusto bar dove la coca cola era sicura fosse ancora sconosciuta. Josy aveva definito esagerata l’idea dell’isola che aveva sua sorella, ma in fondo lei aveva avuto solo tre anni l’ultima volta che vi aveva messo piede, perciò non ricordava molti particolari e non poteva contraddirla: anzi, era a lei solidale nella battaglia contro i loro genitori.
« Io e Josy restiamo a casa e ogni tanto viene la zia a controllarci! » aveva proposto un milione di volte e un milione di volte i suoi genitori avevano scosso la testa.
Nathalie, osservando Josy piangere e lamentarsi, fu quasi felice della scena: quello di costringere tutti a partire per una vacanza noiosissima era un torto che non avrebbe mai perdonato loro.
« Josy smettila! » gridò Matt, perdendo la pazienza.
La alzò di peso e la fece sedere in macchina, mettendole la cintura di sicurezza. Petunia e Marshall si scambiarono un’occhiata preoccupata: erano già in ritardo per la partenza e Josy non stava migliorando la situazione. Petunia fu quasi sul punto di intervenire quando la bambina si divincolò con forza dalla presa di suo fratello, ma sua marito la precedette.
« Josy smettila. Hai otto anni ormai, non sei più una bambina che fa i capricci. »
Le discussioni con suo padre erano qualcosa che Josy classificava come perse in partenza e non osava mai replicare, quando lui apriva bocca. Ringraziando il cielo, Marshall vide che anche questa volta smise di lottare e si limitò ad abbracciare la gabbietta di Impi, con l’aria di chi, però, concedeva semplicemente una tregua temporanea alla battaglia. Disperato, alzò lo sguardo verso Nathalie che, da sopra le scale, lanciava le ultime borse.
« Così le romperai! » gridò Petunia, accorrendo in aiuto dei poveri oggetti sparsi sul pavimento dall’urto con quest’ultimo dopo un volo di più di tre metri.
« Guarda che se non faccio così impiegheremo un’eternità! »
In realtà Petunia sapeva bene che quelle buste contenevano per lo più i peluche e i giochi di Josy e Dan, così sorrise all’idea di Nathalie che, invece di quelle borse per cui non aveva il minimo interesse, lanciava le proprie valigie e si accorgeva solo all’ultimo del disastro che aveva causato alle sue boccette di smalto ordinate in base alla tonalità. Non aveva voglia di discutere anche con lei, perciò raccolse tutto a malincuore e si lasciò aiutare da Matt a sistemare in macchina ogni cosa. In tutta quella confusione, l’unico che osservava la scena dall’alto del suo seggiolone era il piccolo Dan. Un anno da poco compiuto e i suoi dentini nuovissimi che mettevano a dura prova tutto ciò che aveva a portata di mano, non sembrava né infastidito né felice degli avvenimenti intorno a lui. Petunia era pronta a giurare che il suo ultimo angioletto aveva dormito tutta la notte già dopo pochi giorni dalla nascita e lodava in continuazione i suoi costanti progressi con le sue vicine. Dan era davvero un bambino adorabile per tutti, ma Matt, Nathalie e Josy non la pensavano esattamente così. Volevano un mondo di bene al loro fratellino, ma proprio non sopportavano vedere le loro cose rosicchiate e trattate con malagrazia.
« Prendi il seggiolone di Dan! » gridò Petunia al marito, mentre prendeva in braccio il figlio.
Controllò nervosamente l’orologio e quasi sbiancò vedendo che ormai mancava pochissimo alla partenza del traghetto.
Marshall parve accorgersi della sua preoccupazione e si affrettò a terminare gli ultimi preparativi. Josy sembrava essersi calmata e Nathalie si era già seduta al suo posto, ma quando vide Matt portare una grossa cesta in braccio ogni cosa tornò nel caos più completo.
« Quel dannato coso non lo voglio qui dentro! » gridò Nathalie, cercando di non permettergli di entrare in macchina e contemporaneamente di tenersi lontana da lui.
« Josy porta con sé Impi! » si lamentò Matt con Marshall, ben sapendo che sua madre e Nathalie erano fermamente d’accordo sulla sorte del suo povero animaletto.
« Chiudi bene quella cesta e mettilo nel portabagagli. » dichiarò infine, sorridendo a suo figlio che lo guardava raggiante e ignorando le occhiatacce delle altre.
« Voglio che tenga quel coso lontano da Impi! » gridò Josy, stringendo tra le braccia la gabbietta, come se bastasse a proteggerla dal coso che c’era nella cesta.
Il coso si chiamava Piton, come l’insegnante di Pozioni di Harry Potter, ma aveva ben poco di magico. Era un enorme pitone e Petunia era svenuta quando sua figlio l’aveva portato a casa la prima volta. Aveva dubitato a lungo in quel periodo della sanità mentale di Matt nel voler tenere, come animale domestico, un serpente pericolosissimo, ma vani erano stati i suoi tentativi di sbarazzarsene. Tipica ribellione adolescenziale, aveva pensato all’inizio, ma poi aveva visto Matt realmente affezionato al suo Piton e ne era rimasta sconcertata. A volte, non capiva proprio i suoi figli…
Marshall dichiarò chiusa la questione e aspettò che Josy, Nathalie e Matt si sedessero sul sedile posteriore, mentre Petunia e Dan, in braccio a lei, su quello anteriore prima di chiudere a chiave la porta di casa loro. Mentre sentiva sopra di sé lo sguardo di cinque paia di occhi, Marshall entrò in macchina e accese il motore.
« Si parte. » mormorò, senza riuscire a trattenere il suo entusiasmo.
Nessun commento:
Posta un commento