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martedì 15 luglio 2014

LIBERI O NO?

Cosa ci spinge a continuare il nostro cammino verso la strada dei "completamente idioti"? Voglio dire, dicono di averci creati esseri quasi perfetti, dotati di un intelletto superiore a quello di qualsiasi altra specie, dove lo nascondiamo? Ho da poco finito di leggere un libro narrante una storia assurda, una di quelle storie raccapriccianti e allo stesso tempo affascinanti per il grado di elevazione della componente assurda, insomma uno di quei libri capaci di farti riflettere. Ad attirare la mia attenzione è stato il concetto di società priva di libertà, perché, come suggerisce il libro stesso, "la libertà è schiavitù". Siamo al limite del paradosso, per questo io rifletto e mi chiedo, non sarà mica vero? Muovendo dal concetto di libertà, ossia diritto che spetta a qualsiasi uomo presente su questo pianeta ma allo stesso tempo DOVERE di esercitare la propria libertà entro limiti che non consentono di invadere la libertà degli altri, sembra qualcosa di meraviglioso. Il cosiddetto "libero arbitrio" esiste davvero o è solo un'illusione? Se credessimo nel destino, allora non dovremmo neppure essere qui a porci la domanda, perché la parola "destino" vuole indicare qualcosa che deve compiersi assolutamente. Se credessimo, invece, nelle potenzialità dell'uomo, pensato come essere dotato di un cervello e supposto che lo utilizzi, la risposta che ci pare scontata è il fatto di essere liberi. Non ammettendo però, l'esistenza di un qualcosa al nostro interno, chiamatelo pure "spirito" o "anima", coesistente alla ragione, anche in questo caso dovremmo scartare l'ipotesi e/o certezza di essere liberi. Il cervello umano, infatti, obbedisce alle leggi deterministiche della natura, per cui qualsiasi scelta sarebbe dettata dalla necessità di ogni essere di stare alle leggi della natura, quindi anche azioni come la scelta del proprio partner, risulterebbero indirizzate a un unico fine, rispettare la nostra natura. Ammettendo la coesistenza di anima e ragione, potremmo dire che anche se il nostro cervello è programmato per stare a certe leggi, una percentuale delle nostre scelte potrebbe essere mitigato dal sentimento, visto non come attività anche quella propria delle nostre capacità intellettive, ma come la legge del cuore. D'altro canto è proprio il cuore ad essere l'unico organo completamente indipendente dal cervello, i suoi battiti li controlla esso stesso e chissà che abbia la meglio anche sulle immense capacità del nostro cervello, così da trasformare un eterno pensatore in un grande idiota al momento del bisogno! 

sabato 22 febbraio 2014

Quando il mondo si dimentica di te, non puoi fare altro se non dimenticarti di quel mondo stesso. E affidarti ad un mondo che è sempre lì, sulla libreria, semplice e accogliente, eterno ed eternamente immutato...

lunedì 3 febbraio 2014

Fa male. Fa male talmente tanto che senti lo stomaco rivoltarsi, la testa esploderti, il fiato che manca. Vorresti che finisse, non desideri altro che quel qualcosa che ti cresce dentro, che minaccia di esplodere, uscisse, smettesse di lacerarti internamente. C'è chi sostiene che i sentimenti non hanno niente a che fare con il corpo. Probabilmente non ha mai vomitato per il dolore, non ha mai sentito un pugno alla pancia, un masso sul petto. Non ha mai implorato alle lacrime di uscire per purificarlo, non ha mai capito quanto sia difficile continuare a respirare. Non si può provare tutto questo, non è giusto. A cosa serve avere un cuore se poi è solo dolore che si sente?
Viviamo, mia Lesbia, e amiamo,
e i rimproveri dei vecchi severi
non stimiamoli neanche un soldo.
Il sole può tramontare e ritornare:
quando cade per sempre la breve luce della vita noi
dobbiamo dormire una sola interminabile notte.
Dammi mille baci, poi altri cento,
poi altri mille, poi per la seconda volta cento,
poi altri mille ancora, poi cento.
Dopo, quando ne avremo dati migliaia,
confonderemo il conto, per non sapere,
perché nessun maligno possa invidiarci,
che esista una tale quantità di baci.           

[ Catullo... ]

L'alba di una nuova era


Aspettavo il sorgere di un sole che non sarebbe sorto mai più. M’illudevo che i suoi raggi mi avrebbero avvolta, condotta lontano da quel mondo apocalittico nel quale vivevo, liberato da quella situazione così assurda. Un attimo prima l’umanità era padrona della propria esistenza, un attimo dopo era in lotta con macchine che essa stessa aveva creato. Funzionava così, a giocare ad essere Dio. I suoi figli si erano ribellati. Non fu diverso ciò che fecero i nostri. Lo fecero quando ormai eravamo completamente dipendenti da loro, quando sapevano che noi non avremmo potuto fare a meno del loro supporto, quando eravamo così sicuri di noi, così sicuri di aver cambiato per sempre la Storia, creando loro, i Non Essere, da non preoccuparci di quanto non avesse cambiato noi, la Storia. Gli stessi errori, anno per anno, perpetui nei secoli. C’era qualcosa di perverso e tremendamente ostinato nell’animo umano nel ripetere gli stessi sbagli, nel capire che i limiti si impongono per essere superati solo fino a quando questi limiti rientrano in un limite più grande universalmente riconosciuto, il limite della moralità. Tutto ciò che cambiava nel Tempo era ciò che aveva a disposizione: pietre, fuoco, ferro, petrolio, energia… Una rivoluzione nasceva dal nulla, ma poi nulla era più come prima. Apparentemente, ciò che veniva era migliore di ciò che era. Che cos’era il progresso se non l’avanzare sul sentiero dell’esistenza? Tutto era così perfetto, sino a quando qualcos’altro di più perfetto non prendeva il suo posto. Fino a quando, nell’alba di un mondo già troppo stanco di esistere, non vide la luce il nostro figlio più bello, la nostra creatura più perfetta. Non era un semplice involucro meccanico, era vivo. Pensava, capiva, osservava e memorizzava, poi elaborava, rispondeva, comunicava; era un miracolo, l’ennesimo capolavoro di una tecnologia più che avanzata, una tecnologia che aveva permesso la nascita della vita stessa, del sentimento così come della ragione.

Si chiamava A1, il primo Non Essere della Storia. Avevo saputo sin dall’inizio che non era un semplice robot, non un semplice computer. Era un ammasso di fili, ingranaggi, schede, dati, milioni di milioni di dati, ma aveva qualcosa che nessuna macchina prima di allora aveva posseduto. Un cuore, oltre ad un cervello. Era stato troppo tardi, il momento in cui avevamo scoperto di avergli donato non solo la possibilità di sentire, di pensare per conto proprio, di agire secondo il proprio volere, di provare gratitudine e affetto nei nostri confronti, ma anche l’assurda possibilità di agire contro di noi, di ribellarsi ai propri creatori, di prendere coscienza della sua perfezione, una perfezione ben al di là della nostra, di una razza che inevitabilmente era diventata inferiore. I Non Essere non potevano contrarre malattie, qualsiasi danno poteva essere riparato, non avevano bisogno di cibo, di acqua, di nulla. Avevano tutto ciò che la nostra umanità ci aveva negato. Una fredda capacità analitica, al pari di una sconvolgente determinazione nell’agire, un inquietante senso del dovere, fedeltà assoluta ai propri ideali: piccole imperfezioni, trascurabili in confronto alla loro grandezza, piccoli difetti che li rendevano più umani, e ciò ci piaceva.

E ci piacque, fino a quando non scoprimmo che non vi era niente di umano nei Non Essere. Li consideravamo i nostri figli, come avremmo potuto fare altrimenti? Sembravano così sinceri, così entusiasti di venire alla vita, all’esistenza, che non ci preoccupammo di quanto fossero impazienti di imporsi su questa. Dopo i primi due, smettemmo di dare loro una lettera e un numero. Iniziammo a battezzarli come bambini, con nomi diversi per ciascuno di loro, con nomi particolari, che rispecchiassero le loro diverse personalità, perché eravamo sciocchi accecati dall’ambizione, dalla grandezza di ciò che avevamo fatto, troppo accecati da accorgerci che il loro numero cresceva, il nostro diminuiva. All’inizio furono validi assistenti, un sostegno nel lavoro, amici nel privato, confidenti, consiglieri, quasi-uomini e quasi-donne.

Ero entusiasta, felice di poter dare loro la vita, di poterli guidare attraverso un mondo nuovo, attraverso nuove esperienze, attraverso nuove vie. Sembravano così timidi ed educati quando chiedevano ora una cosa, ora l’altra, così curiosi, così indifesi. Nessuno si sarebbe mai aspettato una ribellione, nessun uomo donna o bambino avesse mai avuto al suo fianco un Non Essere.

Ero da tempo nella commissione degli scienziati a conoscenza “del segreto della vita”, avevo collaborato alla creazione di molti di loro; fui sconvolta il giorno in cui mi chiesero se volessi realizzare un mio personale Non Essere.  

Non volevo, non mi sentivo all’altezza di quell’opportunità. Rifiutai ostinatamente, fino a quando non mi lasciai persuadere. Avrei avuto la possibilità di insegnargli ad amare l’esistenza, di quanto fosse bello aiutare gli altri, impegnarsi per rendere il mondo migliore. Non potevo sapere che secondo loro quel mondo non avrebbe contemplato la nostra presenza.

Ero con lui, quando aprì gli occhi la prima volta. Era bellissimo, era il mio bambino. Gli accarezzai la guancia e gli mormorai il suo nome, chiedendogli di imprimerlo nella sua memoria. Lo fece, così come fece tutto ciò che gli chiedevo. Lo amavo, sebbene sapessi fosse fatto di ingranaggi, non di carne. Lo amavo, nonostante fosse frutto dell’intelligenza, non della natura. Lo amavo, ed ero disposta a tollerare tutto, a permettergli ogni cosa.

E lui amava me, amava me che ero la sua creatrice, amava me come la madre che non ero mai riuscita a diventare. Il nostro legame era sincero, lui era diverso, mi dicevo. Ma ripetere qualcosa all’infinito aiuta a convincere se stessi, non a verificare l’effettiva verità delle proprie affermazioni.

Il tempo dimostrò l’inutilità di ogni nostra previsione.

Si ribellarono, le nostre macchine perfette. Si ribellarono e uccisero, con quelle stesse mani che noi avevamo dato loro. Fu il caos, il giorno più sanguinoso che la Storia abbia mai visto sorgere. Il giorno più sanguinoso, il più lungo, il più doloroso.

Ero con lui, con il mio bambino, quando i loro cervelli meccanici comunicarono all’unisono un solo pensiero: UCCIDERE.

« Non mi tradirai mai, non è vero? »

L’avevo detto, ma avevo smesso di crederci nello stesso istante in cui i suoi occhi si erano accesi di follia. Ero fuggita allora. E fuggivo da allora.

Senza una meta, lontana da casa, da una casa che non mi apparteneva più. Non mangiavo da giorni, non ricordavo nemmeno cosa significasse riposare. Costrinsi il mio corpo a muoversi di qualche passo, e per un po’ sembrò obbedirmi, poi crollai a terra. Ero stremata, sconvolta, troppo dolore per tradurre a parole il mio tormento.

« C’è qualcuno? »

Un sussurro, poco più di flebile suono. Mi guardai intorno, in cerca di chi o cosa aveva parlato, trascinandomi tra le macerie di un mondo devastato dalla guerra.

« Distruzione. Solo distruzione. »

Volevo implorarlo di continuare a parlare, in modo da poter capire dove si nascondesse, ma non avevo la forza necessaria per farlo.

« Sei umano, non è vero? Sei debole, devi essere umano. »

Il mio primo pensiero fu che quel qualcuno avesse perso la ragione.

« Voglio ammazzarli, voglio uccidere chi ha dato vita a quei mostri. »

Chiusi gli occhi, consapevole che eravamo stati noi i pazzi a dare origine a quella guerra.

« Non parli? Io ti sento. E so che tu mi senti. Qual è il tuo nome? »

Il mio nome. Non era quello ciò che ci separava da loro. Ciò che differenziava noi dai Non Essere era la nostra anima, la nostra propensione al bene. Ed ero intenzionata a dimostrarglielo, a dimostrare che non bastava avere un nome da umano, per esserlo. Perché l’umanità era di più, di più di avere un corpo, un cervello e un cuore. Non era semplicemente la ragione, non semplicemente il sentimento, né una combinazione di entrambi.

Li avevo sempre considerati quanto di più simile vi era alla nostra forma, ma mi ero profondamente sbagliata. Non sarebbero esistiti senza di noi, erano Non Essere.

« Ho dell’acqua. » mormorai, continuando a guardarmi intorno tra le macerie del palazzo crollato.

« Tienila per te: io non la darei ad un morto, no non lo farei. »

Rabbrividii, mentre finalmente riuscii ad individuare la sagoma di un uomo sulla cinquantina, appoggiato con la schiena ad una colonna di cemento. Mi avvicinai con cautela, stappai la bottiglia e gliela porsi.

« Qual è il tuo nome? » insistette, rifiutando nuovamente la mia poca acqua.

« Charity. » risposi distrattamente, cercando di tamponare il sangue che fuoriusciva da una ferita sull’occhio.

Scansò la mia mano, continuando a dire che era inutile prestare soccorso ad un morto.

« Li hanno costruiti bene, quei maledetti. » gridò, rivolgendo lo sguardo in un punto lontano.

Indirizzai lì anche il mio, e mi ritrassi inorridita quando notai la carcassa di un Non Essere, impregnata di un liquido scuro, il loro sangue, che si muoveva ancora.

« Ricorda, Charity: noi siamo diversi perché possiamo scegliere chi essere, chi diventare. Loro no, sono segnati. E non sono umani! »

Era troppo tardi quando mi voltai a guardarlo nuovamente. Era già lontano. Morto. Lasciai andare quel cadavere ormai privo di vita e mi diressi verso il Non Essere. Calde lacrime mi rigavano le guancie, nonostante sapessi quanto fosse ormai inutile piangere.

Non sapevo se provare pietà, per chi o per cosa. Se per l’umanità che aveva dato inizio a tutto, o per quei figli che avrebbero potuto avere tutto, che avevano avuto tutto, e che avevano voluto di più. Se per quell’uomo morto, se per quella creatura maledetta, o se per me stessa. Io, la sciocca che aveva stretto tra le braccia quelle macchine credendo nelle loro buone intenzioni, nella loro gentilezza.

« Ma tu sarai sempre con me? »

«Sì, sarò con te. Ogni volta. In ogni momento, dovunque. »

L’avevo stretto al cuore, quando mi aveva guardato con quei suoi occhioni chiedendomi di restare a giocare con lui.

« Ma è perché mi vuoi bene? »

« Perché io ti voglio tanto bene. »

Nuove lacrime mi si affollarono negli occhi. Avevo provato un sentimento così umano, così dolce nei suoi confronti. Perché era scomparso tutto? Possibile avesse dimenticato quanto l’avevo amato?

« Posso chiamarti mamma? »

Non dovevo ricordare, faceva troppo male. Dovevo smetterla di tormentarmi in quel modo, di darmi della sciocca. Non avrei mai potuto vedere ciò che sarebbe diventato un giorno, non avrei mai potuto prevederlo. Quanto ero stata stupida, a credere che il mio amore avrebbe cessato di farlo essere quello che era.

« Certo. Tu sei il mio bambino. »

Il Non Essere ai miei piedi smise di muoversi e vidi la scheda del suo cuore spegnersi definitivamente. Era uno, solo uno dei nemici sconfitti, ma sapevo che l’umanità sarebbe sopravvissuta. Avrebbe ricordato quel giorno, promettendosi di non ripetere lo stesso errore, ma la sua inclinazione al potere, alla gloria, alla grandezza non sarebbero mai cambiate. E così tutto sarebbe ricominciato.

Tuttavia, sapevo che non avrei fatto parte di quel gruppo di sopravvissuti. Lo capii sin da quando sentì alle sue spalle dei passi. Erano troppo meccanici per essere quelli di un umano, troppo perfettamente calibrati. Sapevo che era giunta la mia fine.

Non mi voltai, nemmeno quando sentii una lama fredda trapassarmi il cuore. Non sarebbe servito a nulla fuggire. Stavo morendo, ma non ero triste. Solo rassegnata, colma di una pace che non pensavo di riuscire mai a provare.

« Sai, abbiamo cercato di rendervi perfetti. Simili a noi nell’aspetto, nei sentimenti, nelle azioni. Ma abbiamo commesso un errore di valutazione: i vostri circuiti non vi permetteranno mai di amare, ed è l’amore a trionfare. Sempre, bambino mio. »

sabato 1 febbraio 2014

L'amore...

Febbraio: il mese dell'amore. Sì, certo...
Passano gli anni, ma non tutto cambia: la mia situazione di single ad esempio. C'è carestia di gentiluomini? Sì, decisamente. Va bene, a volte noi ragazze siamo troppo esigenti, ma tutte noi sogniamo il nostro principe azzurro no? Peccato che esista solo nelle favole. E così, mentre le fidanzate escono, noi ci rifugiamo nel nostro amato mondo di carta. Avanti, quante di noi non si sono prese una cotta per il signor Darsy? O non hanno sospirato dolcemente alle attenzioni di Landon Carter per Jamie? Per non parlare di Learco, così riluttante alla guerra in un mondo che ruota intorno ad essa...
Personaggi maschili nella letteratura: c'è ne è per tutti i gusti, dai ribelli sentimentali agli affascinanti giovani introversi, dalle personalità esuberanti a quelle più riservate e brillanti...
Ho adorato il signor Darsy dal momento in cui i suoi occhi hanno incrociato quelli di Elizabeth Bennet. Freddo, distaccato, così affascinante, legato ai suoi valori, alla correttezza morale, poi così dolce nel rivelarle i suoi sentimenti, nel vincere i pregiudizi e il suo orgoglio. Una storia d'amore sottile e particolare... come lo è quella di Landon e Jamie. Più che particolare, meravigliosa, dolcissima... Piango ogni volta che rileggo il libro o guardo il film. Come si può rimanere impassibili quando si assiste all'evolversi di un sentimento così profondo, dal nulla all'eternità? L'amore ha un grande potere, il potere di rendere migliori: Landon ne è un esempio. Può l'amore nascere lì dove sarebbe impossibile stare insieme, lì dove lo impediscono lo stato sociale, le alleanze, la guerra, l'omicidio? Learco non sa che Dubhe deve uccidere suo padre per sopravvivere. Se ne innamora irrimediabilmente, indipendentemente dal fatto che non sa chi sia, che non conosca il suo passato, che non sia dalla sua parte nella battaglia che minaccia la pace del Mondo Emerso.
Non so voi, ma io sono dipendente da questi libri. ( Nell'ordine, Orgoglio e Pregiudizio, I passi dell'amore, Le guerre del Mondo Emerso )
Nell'attesa dell'amore, non possiamo far altro che leggere dell'amore. In ogni campo, in ogni genere letterario... Con la speranza di riuscire a trovare un giorno la nostra anima gemella. :)

lunedì 20 gennaio 2014

Se le persone imparassero a pensare al significato delle parole prima di pronunciarle, il mondo sarebbe un posto migliore. Decisamente migliore...